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gli altri suo’ predecessori, in questo tempo, l’anno 1525, fu condotto Giorgio Vasari fanciullo a Fiorenza dal cardinale di Cortona e messo a stare con Michelagnolo a imparare l’arte. Ma essendo lui chiamato a Roma da papa Clemente VII, perché gli aveva cominciato la libreria di San Lorenzo e la sagrestia nuova per metter le sepolture di marmo de’ suoi maggiori che egli faceva, si risolvé che il Vasari andasse a stare con Andrea del Sarto fino a che egli si spediva, et egli proprio venne a bottega di Andrea a raccomandarlo. Partì per Roma Michelagnolo in fretta, et infestato di nuovo da Francesco Maria duca di Urbino nipote di papa Giulio, il quale si doleva di Michelagnolo dicendo che aveva ricevuto sedici mila scudi per detta sepoltura e che se ne stava in Fiorenza a’ suoi piaceri, e lo minacciò malamente che se non vi attendeva lo farebbe capitare male. Giunto a Roma papa Clemente, che se ne voleva servire, lo consigliò che facessi conto cogli agenti del Duca, ché pensava che a quel che gli aveva fatto fussi più tosto creditore che debitore; la cosa restò così. E ragionando insieme di molte cose, si risolsero di finire affatto la sagrestia e libreria nuova di S. Lorenzo di Fiorenza. Laonde, partitosi di Roma, e’ voltò la cupola che vi si vede, la quale di vario componimento fece lavorare, et al Piloto orefice fece fare una palla a settantadue facce che è bellissima. Accadde mentre che e’ la voltava, che fu domandato da alcuni suoi amici: "Michelagnolo, voi doverete molto variare la vostra lanterna da quella di Filippo Bruneleschi", et egli rispose loro: "Egli si può ben variare, ma migliorare no". Fecevi dentro quattro sepolture per ornamento nelle facce, per li corpi de’ padri de’ due papi, Lorenzo vecchio e Giuliano suo fratello, e per Giuliano fratello di Leone e per Lorenzo suo nipote. E perché egli la volse fare ad imitazione della sagrestia vecchia, che Filippo Brunelleschi aveva fatto, ma con altro ordine di ornamenti, vi fece dentro uno ornamento composito, nel più vario e più nuovo modo che per tempo alcuno gli antichi et i moderni maestri abbino potuto operare; perché nella novità di sì belle cornici, capitegli e base, porte, tabernacoli e sepolture, fece assai diverso da quello che di misura, ordine e regola facevano gli uomini secondo il comune uso e secondo Vitruvio e le antichità, per non volere a quello agiugnere. La quale licenzia ha dato grande animo a quelli che hanno veduto il far suo di mettersi a imitarlo, e nuove fantasie si sono vedute poi alla grottesca più tosto che a ragione o regola, a’ loro ornamenti. Onde gli artefici gli hanno infinito e perpetuo obligo, avendo egli rotti i lacci e le catene delle cose, che per via d’una strada comune eglino di continuo operavano. Ma poi lo mostrò meglio e volse far conoscere tal cosa nella libreria di San Lorenzo nel medesimo luogo, nel bel partimento delle finestre, nello spartimento del palco e nella maravigliosa entrata di quel ricetto. Né si vidde mai grazia più risoluta nel tutto e nelle parti come nelle mensole, ne’ tabernacoli e nelle cornici, né scala più comoda: nella quale fece tanto bizzarre rotture di scaglioni e variò tanto da la comune usanza delli altri, che ogni uno se ne stupì. Mandò in quello tempo Pietro Urbano pistolese suo creato a Roma a mettere in opera un Cristo ignudo che tiene la croce, il quale è una figura mirabilissima, che fu posto nella Minerva allato alla cappella maggiore per Messer Antonio Metelli. Seguì intorno a questo tempo il Sacco di Roma, la cacciata de’ Medici di Firenze, nel qual mutamento disegnando chi governava rifortificare