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che è cosa mirabile a vedere la diferenza delle due maniere e la bontà e giudizio d’un giovanetto così animoso e fiero che gli bastasse l’animo correggere le cose del suo maestro. Questa carta è oggi appresso di me tenuta per reliquia, che l’ebbi dal Granaccio per porla nel libro de’ disegni con altri di suo avuti da Michelagnolo; e l’anno 1550, che era a Roma, Giorgio la mostrò a Michelagnolo che la riconobbe et ebbe caro rivederla, dicendo per modestia che sapeva di questa arte più quando egl’era fanciullo, che allora che era vecchio. Ora avvenne che lavorando Domenico la cappella grande di Santa Maria Novella, un giorno che egli era fuori si misse Michelagnolo a ritrarre di naturale il ponte con alcuni deschi, con tutte le masserizie dell’arte, et alcuni di que’ giovani che lavoravano. Per il che tornato Domenico e visto il disegno di Michelagnolo disse: "Costui ne sa più di me"; e rimase sbigottito della nuova maniera e della nuova imitazione, che dal giudizio datogli dal cielo aveva un simil giovane in età così tenera, che invero era tanto quanto più desiderar si potesse nella pratica d’uno artefice che avesse operato molti anni. E ciò era che tutto il sapere e potere della grazia era nella natura essercitata dallo studio e dall’arte, per che in Michelagnolo faceva ogni dì frutti più divini, come apertamente cominciò a dimostrarsi nel ritratto che e’ fece d’una carta di Martino tedesco stampata, che gli dette nome grandissimo. Imperò che, essendo venuta allora in Firenze una storia del detto Martino, quando i diavoli battano Santo Antonio, stampata in rame, Michelagnolo la ritrasse di penna di maniera, che non era conosciuta, e quella medesima con i colori dipinse; dove per contrafare alcune strane forme di diavoli, andava a comperare pesci che avevano scaglie bizzarre di colori, e quivi dimostrò in questa cosa tanto valore, che e’ ne acquistò e credito e nome. Contrafece ancora carte di mano di varii maestri vecchi tanto simili, che non si conoscevano, perché tignendole et invecchiandole col fumo e con varie cose, in modo le insudiciava, che elle parevano vecchie, e paragonatole con la propria non si conosceva l’una dall’altra; né lo faceva per altro se non per avere le proprie di mano di coloro, col darli le ritratte, che egli per l’eccellenza dell’arte amirava e cercava di passargli nel fare, onde n’acquistò grandissimo nome. Teneva in quel tempo il magnifico Lorenzo de’ Medici nel suo giardino in sulla piazza di S. Marco Bertoldo scultore, non tanto per custode o guardiano di molte belle anticaglie, che in quello aveva ragunate e raccolte con grande spesa, quanto perché desiderando egli sommamente di creare una scuola di pittori e di scultori eccellenti, voleva che elli avessero per guida e per capo il sopra detto Bertoldo, che era discepolo di Donato. Et ancora che e’ fusse sì vecchio che non potesse più operare, era nientedimanco maestro molto pratico e molto reputato, non solo per avere diligentissimamente rinettato il getto de’ pergami di Donato suo maestro, ma per molti getti ancora che egli aveva fatti di bronzo di battaglie e di alcune altre cose piccole, nel magisterio delle quali non si trovava allora in Firenze chi lo avanzasse. Dolendosi adunque Lorenzo, che amor grandissimo portava alla pittura et alla scultura, che ne’ suoi tempi non si trovassero scultori celebrati e nobili, come si trovavano molti pittori di grandissimo pregio e fama, deliberò, come io dissi, di fare una scuola; e per questo chiese a Domenico Ghirlandai, che se in bottega sua avesse de’ suoi giovani che inclinati fussero a ciò, l’inviasse al giardino, dove egli desiderava di essercitargli e creargli in una maniera che onorasse sé e lui e la città sua. Laonde da Domenico gli furono per ottimi giovani dati fra