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a quelle sante imagini che in alcun luogo, dove avessero avuto grazie o fussero stati esauditi, si ritrovavano. Questo Francesco dunque, non attendendo solamente a fare boti, come faceva il padre, lavorò anco di tausia et a commettere nell’acciaio oro et argento alla damaschina, facendo fogliami, lavori, figure e qualunche altra cosa voleva. Della qual sorte di lavoro fece un’armadura intera e bellissima da fonte a piè al duca Alessandro de’ Medici, e fra molte altre medaglie che fece il medesimo, quelle furono di sua mano e molto belle che con la testa del detto duca Alessandro furono poste ne’ fondamenti della fortezza della porta a Faenza, insieme con altre, nelle quali era da un lato la testa di papa Clemente Settimo e dall’altro un Cristo ignudo, con i flagelli della sua Passione. Si dilettò anco Francesco dal Prato delle cose di scultura e gittò alcune figurette di bronzo, le quali ebbe il duca Alessandro, che furono graziosissime; il medesimo rinettò, e condusse a molta perfezione, quattro figure simili fatte da Baccio Bandinelli, cioè una Leda, una Venere et un Ercole et un Apollo, che furono date al medesimo Duca. Dispiacendo adunque a Francesco l’arte dell’orefice e non potendo attendere alla scultura, che ha bisogno di troppe cose, si diede, avendo buon disegno, alla pittura; e perché era persona che praticava poco, né si curava che si sapesse più che tanto che egli attendesse alla pittura, lavorò da sé molte cose. Intanto, come si disse da principio, venendo Francesco Salviati a Firenze, lavorò nelle stanze che costui teneva nell’Opera di Santa Maria del Fiore, il quadro di Messer Alamanno; onde con questa occasione vedendo costui il modo di fare del Salviati, si diede con molto più studio, che insino allora fatto non aveva, alla pittura; e condusse in un quadro molto bello una conversione di San Paolo, la quale oggi è appresso Guglielmo del Tovaglia. E dopo in un quadro della medesima grandezza, dipinse le serpi che piovono addosso al popolo ebreo; in un altro fece Gesù Cristo che cava i Santi Padri del limbo, i quali ultimi due, che sono bellissimi, ha oggi Filippo Spini, gentiluomo che molto si diletta delle nostre arti. Et oltre a molte altre cose piccole che fece Francesco dal Prato, disegnò assai, e bene, come si può vedere in alcuni di sua mano che sono nel nostro libro de’ disegni. Morì costui l’anno 1562 e dolse molto a tutta l’accademia, perché oltre all’esser valentuomo nell’arte, non fu mai il più da bene uomo di lui. Fu allievo di Francesco Salviati Giuseppo Porta da Castel Nuovo della Garfagnana, che fu chiamato anch’egli per rispetto del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l’anno 1535 essendo stato condotto in Roma da un suo zio, segretario di monsignor Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati, appresso al quale imparò in poco tempo, non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente. Andato poi col suo maestro a Vinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che essendovi da lui lasciato fece conto di volere che quella città fusse sua patria, e così presovi moglie, vi si è stato sempre et ha lavorato in pochi altri luoghi che a Vinezia. In sul campo di S. Stefano dipinse già la facciata della casa de’ Loredani di storie colorite a fresco molto vagamente, e fatte con bella maniera; dipinse similmente a San Polo quella de’ Bernardi, et un’altra dietro a San Rocco, che è opera bonissima. Tre altre facciate di chiaro scuro ha fatto molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisè, la seconda a San Cassiano e la terza a Santa Maria Zebenigo.