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città collocata. Stando le cose della sala de’ re nel modo che si è detto di sopra, nel partire il duca Cosimo da Siena per andar a Roma, il Vasari, che era andato insin lì con sua eccellenza, gli raccomandò caldamente il Salviati, acciò gli facesse favore appresso al Papa, et a Francesco scrisse quanto aveva da fare, giunto che fusse il Duca in Roma. Nel che non uscì punto Francesco del consiglio datogli da Giorgio, per che andando a far reverenza al Duca, fu veduto con bonissima cera da sua eccellenza, e poco appresso fatto tale ufficio per lui appresso Sua Santità, che gli fu allogata mezza la detta sala, alla quale opera mettendo mano, prima che altro facesse, gettò a terra una storia stata cominciata da Daniello, onde furono poi fra loro molte contese. Serviva come s’è già detto questo Pontefice nelle cose d’architettura Pirro Logorio, il quale aveva molto da principio favorito Francesco, et arebbe seguitato; ma colui non tenendo più conto né di Pirro, né d’altri, poi che ebbe cominciato a lavorare, fu cagione che d’amico gli divenne in un certo modo avversario, e se ne videro manifestissimi segni; perciò che Pirro cominciò a dire al Papa, che essendo in Roma molti giovani pittori e valentuomini, che a voler cavare le mani di quella sala sarebbe stato ben fatto allogar loro una storia per uno e vederne una volta il fine. I quali modi di Pirro, a cui si vedeva che il Papa in ciò acconsentiva, dispiacquero tanto a Francesco, che tutto sdegnato si tolse giù dal lavoro e dalle contenzioni, parendogli che poca stima fusse fatta di lui. E così montato a cavallo, senza far motto a niuno, se ne venne a Fiorenza, dove tutto fantastico, senza tener conto d’amico che avesse, si pose in uno albergo, come non fusse stato di questa patria e non vi avesse né conoscenza, né chi fusse in cosa alcuna per lui. Dopo, avendo baciato le mani al Duca, fu in modo accarezzato, che si sarebbe potuto sperare qualche cosa di buono, se Francesco fusse stato d’altra natura e si fusse attenuto al consiglio di Giorgio, il quale lo consigliava a vendere gl’ufficii che aveva in Roma e ridursi in Fiorenza a godere la patria e gl’amici, per fuggire il pericolo di perdere insieme con la vita tutto il frutto del suo sudore e fatiche intollerabili. Ma Francesco guidato dal senso, dalla còllora e dal desiderio di vendicarsi, si risolvette volere tonare a Roma ad ogni modo fra pochi giorni. In tanto levandosi di su quell’albergo a’ prieghi degl’amici si ritirò in casa di Messer Marco Finale priore di Santo Apostolo, dove fece, quasi per passarsi tempo, a Messer Iacopo Salviati sopra tela d’argento, una Pietà colorita, con la Nostra Donna e l’altre Marie, che fu cosa bellissima; rinfrescò di colori un tondo d’arme ducale, che altra volta avea fatta a posta sopra la porta del palazzo di Messer Alamanno, et al detto Messer Iacopo fece un bellissimo libro di abiti bizzarri et acconciature diverse d’uomini e cavalli per mascherate, per che ebbe infinite cortesie dall’amorevolezza di quel signore, che si doleva della fantastica e strana natura di Francesco, il quale non poté mai questa volta, come l’altre avea fatto, tirarselo in casa. Finalmente avendo Francesco a partire per Roma, Giorgio come amico gli ricordò che essendo ricco d’età, mal complessionato e poco più atto alle fatiche, badasse a vivere quietamente e lasciare le gare e le contenzioni; il che non arebbe potuto fare commodamente, avendosi acquistato roba et onore a bastanza, se non fusse stato troppo avaro e disideroso di guadagnare. Lo confortò oltre ciò a vendere