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figliuoli si doverebbe inanzi ad ogni altra cosa pregare sapienza e bontà. Questo disegno tenne poi sempre Piero così caro, come fusse stato, anzi come era, una bellissima gioia. Non molto dopo, avendo scritto il detto Piero et altri amici a Francesco che avrebbe fatto bene a tornare alla patria, perciò che si teneva per fermo che sarebbe stato adoperato dal signor duca Cosimo, che non aveva maestri intorno se non lunghi et irresoluti, si risolvé finalmente (confidando anco molto nel favore di Messer Alamanno fratello del Cardinale e zio del Duca) a tornarsene a Fiorenza. E così venuto, prima che altro tentasse, dipinse al detto Messer Alamanno Salviati un bellissimo quadro di Nostra Donna, il quale lavorò in una stanza che teneva nell’Opera di Santa Maria del Fiore Francesco dal Prato, il quale allora di orefice e maestro di tausia s’era dato a gettare figurette di bronzo et a dipignere con suo molto utile et onore. Nel medesimo luogo dico, il quale stava colui, come ufficiale sopra i legnami dell’Opera, ritrasse Francesco l’amico suo Piero di Marcone et Aveduto del Cegia Vaiaio e suo amicissimo, il quale Aveduto, oltre a molte altre cose che ha di mano di Francesco, ha il ritratto di lui stesso fatto a olio e di sua mano naturalissimo. Il sopra detto quadro di Nostra Donna, essendo, finito che fu, in bottega del Tasso intagliatore di legname et allora architettore di palazzo, fu veduto da molti e lodato infinitamente. Ma quello che anco più lo fece tenere pittura rara, si fu che il Tasso, il quale soleva biasimare quasi ogni cosa, la lodava senza fine, e, che fu più, disse a Messer Pierfrancesco maiordomo che sarebbe stato ottimamente fatto che il Duca avesse dato da lavorare a Francesco alcuna cosa d’importanza. Il quale Messer Pierfrancesco e Cristofano Rinieri, che avevano gli orecchi del Duca, fecero sì fatto ufficio, che parlando Messer Alamanno a sua eccellenza e dicendogli che Francesco desiderava che gli fusse dato a dipignere il salotto dell’udienza, che è dinanzi alla capella del palazzo ducale, e che non si curava d’altro pagamento, ella si contentò che ciò gli fusse conceduto. Per che, avendo Francesco fatto in disegni piccoli il trionfo e molte storie de’ fatti di Furio Camillo, si mise a fare lo spartimento di quel salotto, secondo le rotture dei vani delle finestre e delle porte, che sono quali più alte e quali più basse. E non fu piccola difficultà ridurre il detto spartimento in modo che avesse ordine e non guastasse le storie. Nella faccia dove è la porta per la quale si entra nel salotto rimanevano due vani grandi divisi dalla porta; dirimpetto a questa, dove sono le tre finestre che guardano in piazza ne rimanevano quattro, ma non più larghi che circa tre braccia l’uno. Nella testa che è a man ritta entrando, dove sono due finestre che rispondono similmente in piazza, da un altro lato erano tre vani simili, cioè di tre braccia circa, e nella testa, che è a man manca dirimpetto a questa, essendo la porta di marmo che entra nella capella et una finestra con una grata di bronzo, non rimaneva se non un vano grande da potervi accommodare cosa di momento. In questa facciata adunque della capella dentro a un ornamento di pilastri corinti che reggono un architrave, il quale ha uno sfondato di sotto dove pendono due ricchissimi festoni e due pendagli di variate frutte molto bene contrafatte e sopra cui siede un putto ignudo che tiene l’arme ducale, cioè di casa