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Onde considerando Francesco avere a fare quest’opera, non pure in luogo publico, ma in luogo dove erano pitture d’uomini rarissimi, di Raffaello da Urbino, del Rosso, di Baldassarri da Siena e d’altri, mise ogni studio e diligenza in condurla a olio nel muro, onde gli riuscì bella pittura e molto lodata, e fra l’altre è tenuta bonissima figura il ritratto che vi fece del detto maestro Filippo con le mani giunte. E perché Francesco stava, come s’è detto, col cardinale Salviati et era conosciuto per suo creato, cominciando a essere chiamato e non conosciuto per altro che per Cecchino Salviati, ha avuto insino alla morte questo cognome. Essendo morto papa Clemente Settimo e creato Paulo Terzo, fece dipignere Messer Bindo Altoviti, nella facciata della sua casa in ponte Sant’Agnolo, da Francesco l’arme di detto nuovo pontefice con alcune figure grandi et ignude, che piacquero infinitamente. Ritrasse ne’ medesimi tempi il detto Messer Bindo, che fu una molto buona figura et un bel ritratto, ma questo fu poi mandato alla sua villa in San Mizzano in Valdarno, dove è ancora; dopo fece per la chiesa di San Francesco a Ripa una bellissima tavola a olio d’una Nunziata, che fu condotta con grandissima diligenza. Nell’andata di Carlo Quinto a Roma l’anno 1535, fece per Antonio da San Gallo alcune storie di chiaro scuro, che furono poste nell’arco che fu fatto a San Marco, le quali pitture, come s’è detto in altro luogo, furono le migliori che fussero in tutto quell’apparato. Volendo poi il signor Pierluigi Farnese, fatto allora signor di Nepi, adornare quella città di nuove muraglie e pitture, prese al suo servizio Francesco, dandogli le stanze in Belvedere, dove gli fece in tele grandi alcune storie a guazzo de’ fatti d’Alessandro Magno che furono poi in Fiandra messe in opera di panni d’arazzo. Fece al medesimo signor di Nepi una grande e bellissima stufa con molte storie e figure lavorate in fresco. Dopo essendo il medesimo fatto duca di Castro, nel fare la prima entrata fu fatto con ordine di Francesco un bellissimo e ricco apparato in quella città et un arco alla porta tutto pieno di storie e di figure e statue fatte con molto giudizio da valentuomini, et in particolare da Alessandro detto Scherano scultore da Settignano. Un altro arco a uso di facciata fu fatto al Petrone et un altro alla piazza, che quanto al legname furono condotti da Batista Botticegli, et oltre all’altre cose fece in questo apparato Francesco una bella scena e prospettiva per una comedia che si recitò. Avendo ne’ medesimi tempi Giulio Camillo, che allora si trovava in Roma, fatto un libro di sue composizioni per mandarlo al re Francesco di Francia, lo fece tutto storiare a Francesco Salviati, che vi mise quanta più diligenza è possibile mettere in simile opera. Il cardinal Salviati, avendo disiderio avere un quadro di legni tinti, cioè di tarsia, di mano di fra’ Damiano da Bergamo converso di S. Domenico di Bologna, gli mandò un disegno come volea che lo facesse, di mano di Francesco, fatto di lapis rosso; il quale disegno, che rappresentò il re Davit unto da Samuello, fu la miglior cosa e veramente rarissima che mai disegnasse Cecchino Salviati. Dopo, Giovanni da Cepperello e Battista gobbo da San Gallo, avendo fatto dipignere a Iacopo del Conte fiorentino, pittore allora giovane, nella Compagnia della Misericordia de’ Fiorentini, di San Giovanni Dicollato sotto il Campidoglio in Roma, cioè nella seconda chiesa, dove si ragunano, una storia di detto San Giovanni Battista, cioè