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cominciarono a portare le materie per fare il fondamento: cioè vassoi pieni di lasagne cotte per calcina e ricotte acconce col zucchero, rena fatta di cacio, spezie e pepe mescolati, e per ghiaia confetti grossi e spicchi di berlingozzi, i quadrucci, mezzane e pianelle che erano portate ne’ corbelli e con le barelle, erano pane e stiacciate. Venuto poi uno imbasamento, perché non pareva dagli scarpellini stato così ben condotto e lavorato, fu giudicato che fusse ben fatto spezzarlo e romperlo, per che, datovi dentro e trovatolo tutto composto di torte, fegategli et altre cose simili, se le goderono essendo loro poste innanzi dai manovali. Dopo, venuti i medesimi in campo con una gran colonna fasciata di trippe di vitella cotte e quella disfatta e dato il lesso di vitella e caponi et altro di che era composta, si mangiarono la basa di cacio parmigiano et il capitello acconcio maravigliosamente con intagli di caponi arrosto, fette di vitella e con la cimasa di lingue. Ma perché sto io a contare tutti i particolari? Dopo la colonna fu portato sopra un carro un pezzo di molto artifizioso architrave con fregio e cornicione, in simile maniera tanto bene e di tante diverse vivande composto, che troppo lunga storia sarebbe voler dirne l’intero; basta che quando fu tempo di svegliare, venendo una pioggia fitta dopo molti tuoni, tutti lasciarono il lavoro e si sfuggirono et andò ciascuno a casa sua. Un’altra volta essendo nella medesima Compagnia signore Matteo da Panzano, il convito fu ordinato in questa maniera: Cerere cercando Proserpina sua figliuola, la quale avea rapita Plutone, entrata dove erano ragunati gli uomini della Cazzuola dinanzi al loro signore, gli pregò che volessino accompagnarla all’inferno, alla quale dimanda dopo molte dispute essi acconsentendo, le andarono dietro. E così entrati in una stanza alquanto oscura, videro in cambio d’una porta una grandissima bocca di serpente, la cui testa teneva tutta la facciata; alla quale porta d’intorno accostandosi tutti, mentre Cerbero abaiava, dimandò Cerere se là entro fusse la perduta figliuola, et essendole risposto di sì, ella soggiunse che disiderava di riaverla. Ma avendo risposto Plutone non voler renderla et invitatale con tutta la Compagnia alla nozze che s’apparecchiavano, fu accettato l’invito; per che, entrati tutti per quella bocca piena di denti, che essendo gangherata s’apriva a ciascuna coppia d’uomini che entrava e poi si chiudeva, si trovarono in ultimo in una gran stanza di forma tonda, la quale non aveva altro che un assai piccolo lumicino nel mezzo, il quale sì poco risplendeva, che a fatica si scorgevano. Quivi essendo da un bruttissimo diavolo, che era nel mezzo con un forcone, messi a sedere dove erano le tavole apparecchiate di nero, comandò Plutone che per onore di quelle sue nozze cessassero, per insino a che quivi dimoravano, le pene dell’inferno; e così fu fatto. E perché erano in quella stanza tutte dipinte le bolgie del regno de’ dannati e le loro pene e tormenti, dato fuoco a uno stopino in un baleno fu acceso a ciascuna bolgia un lume che mostrava nella sua pittura in che modo e con quali pene fussero quelli che erano in essa tormentati. Le vivande di quella infernal cena furono tutti animali schifi e bruttissimi in apparenza, ma però dentro, sotto la forma del pasticcio e coperta abominevole, erano cibi delicatissimi e di più sorti. La scorza dico, et