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paiuolo fatto d’un tino, dentro al quale stavano tutti, e parea che fussino nell’acqua della caldaia: di mezzo alla quale venivono le vivande intorno intorno, et il manico del paiuolo, che era alla volta, faceva bellissima lumiera nel mezzo, onde si vedevano tutti in viso guardando intorno. Quando furono adunque posti a tavola dentro al paiuolo benissimo accomodato, uscì del mezzo un albero con molti rami, che mettevono innanzi la cena, cioè le vivande a due per piatto; e ciò fatto, tornando a basso, dove erano persone che sonavano, di lì a poco risurgeva di sopra e porgeva le seconde vivande e dopo le terze e così di mano in mano, mentre attorno erano serventi che mescevano preziosissimi vini. La quale invenzione del paiuolo, che con tele e pitture era accomodato benissimo, fu molto lodata da quegl’uomini della Compagnia. In questa tornata il presente del Rustico fu una caldaia fatta di pasticcio, dentro alla quale Ulisse tuffava il padre per farlo ringiovanire, le quali due figure erano capponi lessi che avevano forma d’uomini, sì bene erano acconci le membra et il tutto con diverse cose tutte buone a mangiare; Andrea del Sarto presentò un tempio a otto faccie, simile a quello di San Giovanni, ma posto sopra colonne; il pavimento era un grandissimo piatto di gelatina con spartimenti di varii colori di musaico; le colonne, che parevano di porfido, erano grandi e grossi salsicciotti, le base et i capitegli erano di cacio parmigiano, i cornicioni di paste di zuccheri e la tribuna era di quarti di marzapane, nel mezzo era posto un leggio da coro fatto di vitella fredda con un libro di lasagne che aveva le lettere e le note da cantare di granella di pepe e quelli che cantavano al leggio erano tordi cotti col becco aperto e ritti con certe camiciuole a uso di cotte, fatte di rete di porco sottile, e dietro a questi per contrabasso erano due pippioni grossi, con sei ortolani che facevano il sovrano; Spillo presentò per la sua cena un magnano, il quale avea fatto d’una grande oca, o altro uccello simile, con tutti gl’instrumenti da potere racconciare, bisognando, il paiuolo; Domenico Puligo d’una porchetta cotta fece una fante con la rocca da filare allato, la quale guardava una covata di pulcini et aveva a servire per rigovernare il paiuolo; il Robetta per conservare il paiuolo fece d’una testa di vitella, con acconcime d’altri untumi, un’incudine, che fu molto bello e buono, come anche furono gl’altri presenti, per non dire di tutti a uno a uno di quella cena e di molte altre che ne feciono. La Compagnia poi della Cazzuola, che fu simile a questa e della quale fu Giovanfrancesco, ebbe principio in questo modo: essendo l’anno 1512 una sera a cena, nell’orto che aveva nel campaccio Feo d’Agnolo gobbo, sonatore di pifferi e persona molto piacevole, esso Feo, ser Bastiano Sagginati, ser Raffaello del Beccaio, ser Cecchino de’ Profumi, Girolamo del Giocondo et il Baia, venne veduto, mentre che si mangiavano le ricotte, al Baia in un canto dell’orto appresso alla tavola un monticello di calcina, dentrovi la cazzuola, secondo che il giorno innanzi l’aveva quivi lasciata un muratore; per che prese con quella mestola o vero cazzuola alquanto di quella calcina, la cacciò tutta in bocca a Feo, che da un altro aspettava a bocca aperta un gran boccone di ricotta, il che vedendo la brigata, si cominciò a gridare: "Cazzuola, cazzuola!". Creandosi dunque per questo accidente la detta Compagnia, fu ordinato che in tutto gl’uomini di quella fussero ventiquattro,