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con proposito di mai più non volere far opere per magistrati, né dove avesse a dependere più che da un cittadino o altr’uomo solo. E così standosi da sé e menando vita soletaria nelle stanze della Sapienza a canto ai frati de’ Servi, andava lavorando alcune cose per non istare in ozio e passarsi tempo. Consumandosi oltre ciò la vita et i danari dietro a cercare di congelare mercurio in compagnia d’un altro cervello così fatto chiamato Raffaello Baglioni, dipinse Giovanfrancesco in un quadro lungo tre braccia et alto due una conversione di San Paulo a olio piena di diverse sorti cavalli sotto i soldati di esso Santo, in varie e belle attitudini e scorti. La quale pittura insieme con molte altre cose di mano del medesimo è appresso gli eredi del già detto Piero Martelli, a cui la diede. In un quadretto dipinse una caccia piena di diversi animali, che è molto bizzarra e vaga pittura, la quale ha oggi Lorenzo Borghini, che la tien cara come quegli che molto si diletta delle cose delle nostre arti. Lavorò di mezzo rilievo di terra per le monache di San Luca in via di San Gallo un Cristo nell’orto che appare a Maria Madalena, il quale fu poi invetriato da Giovanni della Robbia e posto a un altare nella chiesa delle dette suore dentro a un ornamento di macigno. A Iacopo Salviati il vecchio, del quale fu amicissimo, fece in un suo palazzo sopra al ponte alla badia un tondo di marmo bellissimo per la cappella, dentrovi una Nostra Donna, et intorno al cortile molti tondi pieni di figure di terra cotta, con altri ornamenti bellissimi, che furono la maggior parte, anzi quasi tutti, rovinati dai soldati l’anno dell’assedio e messo fuoco nel palazzo dalla parte contraria a’ Medici. E perché aveva Giovanfrancesco grande affezzione a questo luogo, si partiva per andarvi alcuna volta a Firenze così in lucco, et uscito dalla città se lo metteva in ispalla e pian piano, fantasticando, se n’andava tutto solo insin lassù; et una volta fra l’altre, essendo per questa gita e facendogli caldo, nascose il lucco in una macchia fra certi pruni e condottosi al palazzo vi stette due giorni prima che se ne ricordasse; finalmente mandando un suo uomo a cercarlo, quando vide colui averlo trovato, disse: "Il mondo è troppo buono, durerà poco". Era uomo Giovanfrancesco di somma bontà et amorevolissimo de’ poveri, onde non lasciava mai partire da sé niuno sconsolato, anzi tenendo i danari in un paniere, o pochi o assai che n’avesse, ne dava secondo il poter suo a chiunche gliene chiedeva; per che, veggendolo un povero, che spesso andava a lui per la limosina, andar sempre a quel paniere, disse, pensando non essere udito: "O Dio, se io avessi in camera quello che è dentro a quel paniere, acconcerei pure i fatti miei". Giovanfrancesco, udendolo, poi che l’ebbe alquanto guardato fiso, disse: "Vien qua, i’ vo’ contentarti". E così, votatogli in un lembo della cappa il paniere, disse: "Va, che sii benedetto". E poco appresso mandò a Niccolò Buoni suo amicissimo, il quale faceva tutti i fatti suoi, per danari; il quale Niccolò, che teneva conto di sue ricolte de’ danari di monte e vendeva le robe a’ tempi, aveva per costume, secondo che esso Rustico voleva, dargli ogni settimana tanti danari, i quali tenendo poi Giovanfrancesco nella cassetta del calamaio senza chiave, ne toglieva di mano in mano chi voleva, per spendergli ne’ bisogni di casa secondo che occorreva. Ma tornando alle sue opere, fece Giovanfrancesco un bellissimo Crucifisso di legno grande quanto il vivo per mandarlo in Francia,