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e le gambe sono benissimo intese et appiccate alle congiunture tanto bene, che non è possibile far più. E, per non dir nulla delle mani e de’ piedi, che graziose attitudini e che gravità eroica hanno quelle teste? Non volle Giovanfrancesco mentre conduceva di terra quest’opera altri a torno che Lionardo da Vinci, il quale nel fare le forme, armarle di ferri et insomma sempre insino a che non furono gettate le statue, non l’abbandonò mai, onde credono alcuni, ma però non ne sanno altro, che Lionardo vi lavorasse di sua mano, o almeno aiutasse Giovanfrancesco col consiglio e buon giudizio suo. Queste statue, le quali sono le più perfette e meglio intese che siano state mai fatte di bronzo da maestro moderno, furono gettate in tre volte e rinette nella detta casa dove abitava Giovanfrancesco nella via de’ Martelli, e così gl’ornamenti di marmo che sono intorno al San Giovanni, con le due colonne, cornici et insegna dell’arte de’ Mercatanti. Oltre al San Giovanni, che è una figura pronta e vivace, vi è un zuccone grassotto, che è bellissimo; il quale, posato il braccio destro sopra un fianco, con un pezzo di spalla nuda, e tenendo con la sinistra mano una carta dinanzi agl’occhi, ha sopraposta la gamba sinistra alla destra, e sta in atto consideratissimo per rispondere a San Giovanni, con due sorti di panni vestito: uno sottile, che scherza intorno alle parti ignude della figura, et un manto di sopra più grosso, condotto con un andar di pieghe che è molto facile et artifizioso. Simile a questo è il fariseo perciò che, postasi la man destra alla barba, con atto grave, si tira alquanto a dietro, mostrando stupirsi delle parole di Giovanni. Mentre che il Rustici faceva quest’opera, essendogli venuto a noia l’avere a chiedere ogni dì danari ai detti consoli o loro ministri, che non erano sempre que’ medesimi e sono le più volte persone che poco stimano virtù o alcun’opera di pregio, vendé (per finire l’opera) un podere di suo patrimonio che avea poco fuor di Firenze a San Marco vecchio. E non ostanti tante fatiche, spese e diligenze, ne fu male dai consoli e dai suoi cittadini remunerato; perciò che uno de’ Ridolfi, capo di quell’uffizio, per alcun sdegno particolare e perché forse non l’aveva il Rustico così onorato, né lasciatogli vedere a suo commodo le figure, gli fu sempre in ogni cosa contrario. E quello che a Giovanfrancesco dovea risultare in onore, faceva il contrario e storto, però che dove meritava d’essere stimato non solo come nobile e cittadino, ma anco come virtuoso, l’essere eccellentissimo artefice gli toglieva appresso gl’ignoranti et idioti di quello che per nobiltà se gli doveva. Avendosi dunque a stimar l’opera di Giovanfrancesco, et avendo egli chiamato per la parte sua Michelagnolo Buonarroti, il magistrato, a persuasione del Ridolfi, chiamò Baccio d’Agnolo, di che dolendosi il Rustico e dicendo agl’uomini del magistrato, nell’udienza, che era pur cosa troppo strana che un artefice legnaiuolo avesse a stimare le fatiche d’uno statuario, e quasi che egli erano un monte di buoi, il Ridolfi rispondeva che anzi ciò era ben fatto e che Giovanfrancesco era un superbaccio et un arrogante. Ma quello che fu peggio, quell’opera che non meritava meno di duemila scudi, gli fu stimata dal magistrato cinquecento, che anco non gli furono mai pagati interamente, ma solamente quattrocento per mezzo di Giulio cardinale de’ Medici. Veggendo dunque Giovanfrancesco tanta malignità, quasi disperato si ritirò