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a Roma, fece nella loggia d’Agostino Chigii, la quale avea dipinta Raffaello e l’andava tuttavia conducendo a fine, un ricinto di festoni grossi a torno a torno agli spigoli e quadrature di quella volta, facendovi stagione per istagione di tutte le sorti frutte, fiori e foglie con tanto artifizio lavorate, che ogni cosa vi si vede viva e staccata dal muro e naturalissima. E sono tante le varie maniere di frutte e biade che in quell’opera si veggiono, che per non raccontarle a una a una, dirò solo che vi sono tutte quelle che in queste nostre parti ha mai prodotto la natura. Sopra la figura d’un Mercurio che vola ha finto per Priapo una zucca, attraversata da vilucchi, che ha per testicoli due petronciani, e vicino al fiore di quella ha finto una ciocca di fichi brugiotti grossi dentro a uno de’ quali, aperto e troppo fatto, entra la punta della zucca col fiore; il quale capriccio è espresso con tanta grazia, che più non si può alcuno imaginare. Ma che più? per finirla, ardisco d’affermare che Giovanni in questo genere di pitture ha passato tutti coloro che in simili cose hanno meglio imitata la natura, perciò che oltre all’altre cose, insino i fiori del sambuco, del finocchio e dell’altre cose minori vi sono veramente stupendissimi. Vi si vede similmente gran copia d’animali fatti nelle lunette che sono circondate da questi festoni, et alcuni putti che tengono in mano i segni degli dèi, ma fra gl’altri un leone et un cavallo marino, per essere bellissimi scorti, sono tenuti cosa divina. Finita quest’opera veramente singolare fece Giovanni in Castel Sant’Agnolo una stufa bellissima, e nel palazzo del papa, oltre alle già dette, molte altre minuzie che per brevità si lasciano. Morto poi Raffaello, la cui perdita dolse molto a Giovanni, e così anco mancato papa Leone, per non avere più luogo in Roma l’arti del disegno, né altra virtù, si trattenne esso Giovanni molti mesi alla vigna del detto cardinale de’ Medici in alcune cose di poco valore, e nella venuta a Roma di papa Adriano non fece altro che le bandiere minori del castello, le quali egli al tempo di papa Leone avea due volte rinovate, insieme con lo stendardo grande che sta in cima dell’ultimo torrione. Fece anco quattro bandiere quadre quando dal detto papa Adriano fu canonizzato santo il beato Antonino arcivescovo di Fiorenza e Sant’Uberto stato vescovo di non so quale città di Fiandra; de’ quali stendardi, uno, nel quale è la figura di detto Santo Antonino, fu dato alla chiesa di San Marco di Firenze, dove riposa il corpo di quel Santo; un altro, dentro al quale è il detto Sant’Uberto, fu posto in Santa Maria de Anima, chiesa de’ tedeschi in Roma, e gl’altri due furono mandati in Fiandra. Essendo poi creato sommo pontefice Clemente Settimo, col quale aveva Giovanni molta servitù, egli, che se n’era andato a Udine per fuggire la peste, tornò subito a Roma, dove giunto gli fu fatto fare nella coronazione di quel Papa un ricco e bell’ornamento sopra le scale di San Piero; e dopo fu ordinato che egli e Perino del Vaga facessero nella volta della sala vecchia, dinanzi alle stanze da basso che vanno dalle logge che già egli dipinse alle stanze di torre Borgia, alcune pitture. Onde Giovanni vi fece un bellissimo partimento di stucchi con molte grottesche e diversi animali, e Perino i carri de’ sette pianeti. Avevano anco a dipignere le facciate della medesima sala, nelle quali già dipinse Giotto, secondo che scrive il Platina nelle vite de’ pontefici, alcuni papi che erano