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belle e leggiadre, entrarono di maniera nel cuore e nella mente a Giovanni, che datosi a questo studio, non si contentò d’una sola volta o due disegnarle e ritrarle. E riuscendogli il farle con facilità e con grazia, non gli mancava se non avere il modo di fare quelli stucchi sopra i quali le grottesche erano lavorate, et ancor che molti innanzi a lui, come s’è detto, avessono ghiribizzatovi sopra, senza aver altro trovato che il modo di fare al fuoco lo stucco con gesso, calcina, pece greca, cera e matton pesto et a metterlo d’oro, non però avevano trovato il vero modo di fare gli stucchi simili a quelli che si erano in quelle grotte e stanze antiche ritrovati. Ma facendosi allora in S. Piero gl’archi e la tribuna di dietro, come si disse nella vita di Bramante, di calcina e pozzolana, gettando ne’ cavi di terra tutti gl’intagli de’ fogliami, degl’uovoli et altre membra, cominciò Giovanni, dal considerare quel modo di fare con calcina e pozzolana, a provare se gli riusciva il far figure di basso rilievo, e così provandosi gli vennero fatte a suo modo in tutte le parti, eccetto che la pelle ultima non veniva con quella gentilezza e finezza che mostravano l’antiche, né anco così bianca. Per lo che andò pensando dovere essere necessario mescolare con la calcina di trevertino bianca, in cambio di pozzolana, alcuna cosa che fusse di color bianco, per che, dopo aver provato alcun’altre cose, fatto pestare scaglie di trevertino, trovò che facevano assai bene: ma tuttavia era il lavoro livido e non bianco, e ruvido e granelloso. Ma finalmente fatto pestare scaglie del più bianco marmo che si trovasse, ridottolo in polvere sottile e stacciatolo, lo mescolò con calcina di trevertino bianco, e trovò che così veniva fatto senza dubbio niuno il vero stucco antico con tutte quelle parti che in quello aveva disiderato. Della qual cosa molto rallegratosi, mostrò a Raffaello quello che avea fatto; onde egli, che allora facea, come s’è detto, per ordine di papa Leone X le logge del palazzo papale, vi fece fare a Giovanni tutte quelle volte di stucchi, con bellissimi ornamenti, ricinti di grottesche simili all’antiche, e con vaghissime e capricciose invenzioni, piene delle più varie e stravaganti cose che si possano imaginare. E condotto di mezzo e basso rilievo tutto quell’ornamento, lo tramezzò poi di storiette, di paesi, di fogliami e varie fregiature, nelle quali fece lo sforzo quasi di tutto quello che può far l’arte in quel genere; nella qual cosa egli non solo paragonò gl’antichi, ma per quanto si può giudicare dalle cose che si son vedute, gli superò. Perciò che quest’opere di Giovanni, per bellezza di disegno, invenzione di figure e colorito, o lavorate di stucco o dipinte, sono senza comparazione migliori che quell’antiche, le quali si veggiono nel Colosseo e dipinte alle Terme di Diocleziano et in altri luoghi. Ma dove si possono in altro luogo vedere uccelli dipinti che più sieno, per dir così, al colorito, alle piume et in tutte l’altre parti, vivi e veri, di quelli che sono nelle fregiature e pilastri di quelle logge? I quali vi sono di tante sorti di quante ha saputo fare la natura: alcuni in un modo et altri in altro, e molti posti sopra mazzi, ma di tutte le maniere biade, legumi e frutti che ha per bisogno e nutrimento degl’uccelli in tutti i tempi prodotti la terra. Similmente de’ pesci e tutti animali dell’acqua e mostri marini che Giovanni fece nel medesimo luogo, per non potersi dir tanto che non sia poco, fia meglio passarla con silenzio, che mettersi a volere tentare l’impossibile. Ma che dirò delle