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si mise destramente di mezzo, et udito l’uno e l’altro et il pericolo che seco portava il modo di Lorenzo, mostrò che senza fare l’arco o impedire in altra guisa il palco delle musiche, si poteva il detto cavallo del tetto assai facilmente accomodare, mettendo due legni doppii di quindici braccia l’uno per la lunghezza del muro; e quelli bene allacciati con spranghe di ferro allato agl’altri cavalli, sopra essi posare sicuramente il cavallo di mezzo, perciò che vi stava sicurissimo come sopra l’arco arebbe fatto né più né meno. Ma non volendo Lorenzo credere né ad Aristotile, che l’approvava, né a Giorgio che il proponeva, non faceva altro che contraporsi con sue cavillazioni che facevano conoscere il suo cattivo animo ad ognuno, per che, veduto Giorgio che disordine grandissimo poteva di ciò seguire e che questo non era altro che un volere amazzare trecento persone, disse che volea per ogni modo dirlo al Duca, acciò mandasse a vedere e provedere al tutto. La qual cosa sentendo Lorenzo e dubitando di non scoprirsi, dopo molte parole diede licenzia ad Aristotile che seguisse il parere di Giorgio e così fu fatto. Questa scena dunque fu la più bella che non solo insino allora avesse fatto Aristotile, ma che fusse stata fatta da altri già mai, avendo in essa fatto molte cantonate di rilievo e contrafatto nel mezzo del foro un bellissimo arco trionfale, finto di marmo, pieno di storie e di statue; senza le strade che sfuggivano e molte altre cose fatte con bellissime invenzioni et incredibile studio e diligenza. Essendo poi stato morto dal detto Lorenzo il duca Alessandro e creato il duca Cosimo l’anno 1536, quando venne a marito la signora donna Leonora di Tolledo, donna nel vero rarissima e di cioè sì grande et incomparabile valore, che può a qual sia più celebre e famosa nell’antiche storie senza contrasto aguagliarsi e per aventura preporsi, nelle nozze che si fecero a dì 27 di giugno l’anno 1539, fece Aristotile nel cortile grande del palazzo de’ Medici, dove è la fonte, un’altra scena che rappresentò Pisa, nella quale vinse se stesso, sempre migliorando e variando. Onde non è possibile mettere insieme mai né la più variata sorte di finestre e porte, né facciate di palazzi più bizzarre e capricciose, né strade o lontani che meglio sfuggano e facciano tutto quello che l’ordine vuole della prospettiva. Vi fece oltra di questo il campanile torto del Duomo, la cupola et il tempio tondo di S. Giovanni con altre cose di quella città. Delle scale che fece in questa non dirò altro, né quanto rimanessero ingannati, per non parere di dire il medesimo che s’è detto altre volte; dirò bene che questa, la quale mostrava salire da terra in su quel piano, era nel mezzo a otto facce e dalle bande quadra, con artifizio nella sua semplicità grandissimo, perché diede tanta grazia alla prospettiva di sopra, che non è possibile in quel genere veder meglio. Appresso ordinò con molto ingegno una lanterna di legname a uso d’arco, dietro a tutti i casamenti, con un sole alto un braccio fatto con una palla di cristallo piena d’acqua stillata, dietro la quale erano due torchi accesi che la facevano in modo risplendere, che ella rendeva luminoso il cielo della scena e la prospettiva in guisa che pareva veramente il sole vivo e naturale. E questo sole dico, avendo intorno un ornamento di razzi d’oro che coprivano la cortina, era di mano in mano per via d’un arganetto, che era tirato con sì fatt’ordine, che a principio della comedia pareva che si levasse il sole, e che salito infino al mezzo dell’arco, scendesse in guisa, che al fine della comedia entrasse sotto e tramontasse. Compositore della comedia fu Anton Landi gentiluomo fiorentino, e sopra gl’intermedii e la