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Potette esso Giangirolamo andare a servire molti signori con grosse provisioni, ma non volle mai partirsi dai suo’ signori viniziani, anzi, per consiglio del padre e del zio tolse moglie in Verona una nobile giovanetta de’ Fracastori con animo di sempre starsi in quelle parti, ma non essendo anco con la sua amata sposa, chiamata madonna Ortensia, dimorato se non pochi giorni, fu dai suoi signori chiamato a Vinezia e di lì con molta fretta mandato in Cipri a vedere tutti i luoghi di quell’isola, con dar commessione a tutti gli ufficiali che lo provedessino di quanto gli facesse bisogno in ogni cosa. Arivato dunque Giangirolamo in quell’isola, in tre mesi la girò e vide tutta diligentemente, mettendo ogni cosa in disegno e scrittura per potere di tutto dar ragguaglio a’ suoi signori. Ma mentre che attendeva con troppa cura e sollecitudine al suo ufficio, tenendo poco conto della sua vita negl’ardentissimi caldi che allora erano in quell’isola, infermò d’una febre pestilente che in sei giorni gli levò la vita, se bene dissero alcuni che egli era stato avelenato; ma comunche si fusse, morì contento, essendo ne’ servigi de’ suoi signori et adoperato in cose importanti da loro, che più avevano creduto alla sua fede e professione di fortificare che a quella di qualunche altro. Subito che fu amalato, conoscendosi mortale, diede tutti i disegni e scritti che avea fatto delle cose di quell’isola in mano di Luigi Brugnuoli suo cognato et architetto, che allora attendeva alla fortificazione di Famagosta, che è la chiave di quel regno, acciò gli portasse a’ suoi signori. Arivata in Vinezia la nuova della morte di Giangirolamo non fu niuno di quel senato che non sentisse incredibile dolore della perdita d’un sì fatt’uomo e tanto affezionato a quella repubblica. Morì Giangirolamo di età di 45 anni et ebbe onorata sepoltura in S. Niccolò di Famagosta dal detto suo cognato, il quale poi tornato a Vinezia presentando i disegni e scritti di Giangirolamo, il che fatto fu mandato a dar compimento alla fortificazione di Legnago, là dove era stato molti anni ad essequire i disegni e modelli del suo zio Michele. Nel qual luogo non andò molto che si morì, lasciando due figliuoli che sono assai valenti uomini nel disegno e nella pratica d’architettura; con ciò sia che Bernardino, il maggiore, ha ora molte imprese alle mani, come la fabrica del campanile del Duomo e di quello di San Giorgio; la Madonna detta di Campagna, nelle quali et altre opere che fa in Verona et altrove riesce eccellente, e massimamente nell’ornamento e cappella maggiore di S. Giorgio di Verona, la quale è d’ordine composito e tale che per grandezza, disegno e lavoro affermano i veronesi non credere che si truovi altra a questa pari in Italia; quest’opera dico, la quale va girando secondo che fa la nicchia, è d’ordine corinzio con capitelli composti, colonne doppie di tutto rilievo e con i suoi pilastri dietro; similmente il frontespizio, che la ricuopre tutta, gira anch’egli con gran maestria secondo che fa la nicchia et ha tutti gl’ornamenti che cape quell’ordine, onde monsignor Barbaro, eletto patriarca d’Aquileia, uomo di queste professioni intendentissimo e che n’ha scritto, nel ritornare dal Concilio di Trento, vide non senza maraviglia quello che di quell’opera era fatto e quello che giornalmente si lavorava; et avendola più volte considerata, ebbe a dire non aver mai veduta simile e non potersi far meglio. E questo basti per saggio di quello che si può dall’ingegno di Bernardino, nato per madre de’ San Micheli, sperare. Ma per tornare a Michele, da