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pagato del restante o che renderebbe gli scudi 50 per romperlo in più pezzi e farne danari, perché aveva molte chieste. Fu ordinato dal Duca a Giorgio Vasari che facesse pagare il marmo. Il che intesosi per l’arte e che il Duca non aveva ancora dato libero il marmo a Baccio, si risentì Benvenuto e parimente l’Ammannato, pregando ciascheduno di loro il Duca di fare un modello a concorrenza di Baccio e che sua eccellenza si degnasse di dare il marmo a colui che nel modello mostrasse maggior virtù. Non negò il Duca a nessuno il fare il modello, né tolse la speranza che chi si portava meglio non potesse esserne il facitore. Conosceva il Duca che la virtù e ’l giudicio e ’l disegno di Baccio era ancora meglio di nessuno scultore di quelli che lo servivano, pure che egli avesse voluto durare fatica, et aveva cara questa concorrenza per incitare Baccio a portarsi meglio e fare quel che egli poteva. Il quale vedutasi addosso questa concorrenza ne ebbe grandissimo travaglio, dubitando più della disgrazia del Duca che d’altra cosa, e di nuovo si messe a fare modelli. Era intorno alla Duchessa assiduo, con la quale operò tanto Baccio, che ottenne d’andare a Carrara per dare ordine che il marmo si conducesse a Firenze. Arrivato a Carrara, fece scemare il marmo tanto, secondo che egli aveva disegnato di fare, che lo ridusse molto meschino e tolse l’occasione a sé et agli altri et il poter farne omai opera molto bella e magnifica. Ritornato a Firenze fu lungo combattimento tra Benvenuto e lui, dicendo Benvenuto al Duca che Baccio aveva guasto il marmo innanzi che egli l’avesse tocco. Finalmente la Duchessa operò tanto, che ’l marmo fu suo, e di già s’era ordinato che egli fusse condotto da Carrara alla marina e preparato gli ordini della barca che lo condusse su per Arno fino a Signa. Fece ancora Baccio murare nella loggia di piazza una stanza per lavorarvi dentro il marmo, et in questo mezzo aveva messo mano a fare cartoni, per fare dipignere alcuni quadri che dovevano ornare le stanze del palazzo de’ Pitti. Questi quadri furono dipinti da un giovane chiamato Andrea del Minga, il quale maneggiava assai acconciamente i colori. Le storie dipinte ne’ quadri furono la creazione d’Adamo e d’Eva e l’esser cacciati dall’Angelo di Paradiso; un Noè et un Moisè con le tavole, i quali finiti gli donò poi alla Duchessa cercando il favore di lei nelle sue difficultà e controversie. E nel vero se non fusse stata quella signora, che lo tenne in piè e lo amava per la virtù sua, Baccio sarebbe cascato affatto et arebbe persa interamente la grazia del Duca. Servivasi ancora la Duchessa assai di Baccio nel giardino de’ Pitti, dove ella aveva fatto fare una grotta piena di tartari e di spugne congelate dall’acqua, dentrovi una fontana, dove Baccio aveva fatto condurre di marmo a Giovanni Fancelli suo creato un pilo grande et alcune capre quanto il vivo, che gettano acqua, e parimente col modello fatto da se stesso per un vivaio un villano che vota un barile pieno d’acqua. Per queste cose la Duchessa di continovo aiutava e favoriva Baccio appresso al Duca, il quale aveva dato licenzia finalmente a Baccio che cominciasse il modello grande del Nettunno: per lo che egli mandò di nuovo a Roma per Vincenzio de’ Rossi, che già s’era partito di Firenze, con intenzione che gli aiutasse condurlo. Mentre che queste cose si andavano preparando, venne volontà a Baccio di finire quella statua di Cristo morto tenuto da Niccodemo, il quale Clemente suo