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Cosimo, con molti ornamenti di varie fantasie d’intagli et uno pavimento tutto di marmi di diversi colori mischiati. Piacque molto al Duca questo ornamento, pensando che con questa occasione si dovesse col tempo (come s’è fatto poi) ridurre a fine tutto il corpo di quella sala, col resto degli ornamenti e del palco, per farla la più bella stanza d’Italia. E fu tanto il desiderio di sua eccellenza che questa opera si facesse, che assegnò per condurla ogni settimana quella somma di danari che Baccio voleva e chiedeva; e fu dato principio che le pietre del Fossato si cavassino e si lavorassino, per farne l’ornamento del basamento e colonne e cornici, e tutto volle Baccio che si facesse e conducesse dagli scarpellini dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Fu certamente questa opera da que’ maestri lavorata con diligenza, e se Baccio e Giuliano l’avessino sollecitata, arebbono tutto l’ornamento delle pietre finito e murato presto; ma perché Baccio non attendeva se non a fare abbozzare statue e finire poche del tutto, et a riscuotere la sua provvisione che ogni mese gli dava il Duca e gli pagava gli aiuti et ogni minima spesa che per ciò faceva, con dargli scudi cinquecento dell’una delle statue di marmo finite, perciò non si vedde mai di questa opera il fine. Ma se con tutto questo Baccio e Giuliano, in un lavoro di tanta importanza, avessino messo la testa di quella sala in isquadra come si poteva, che delle otto braccia che aveva di bieco si ritirorono appunto alla metà, et èvvi in qualche parte mala proporzione come la nicchia del mezzo e le due dalle bande maggiori che son nane, et i membri delle cornici gentili a sì gran corpo, e se, come potevano, si fussino tenuti più alti con le colonne, con dar maggior grandezza e maniera et altra invenzione a quella opera, e se pur con la cornice ultima andavano a trovare il piano del primo palco vecchio di sopra, eglino arebbono mostro maggior virtù e giudizio né si sarebbe tanta fatica spesa invano, fatta così inconsideratamente, come hanno visto poi coloro a chi è tocco a rassettarla, come si dirà, et a finirla, perché con tutte le fatiche e studii adoperati dappoi vi sono molti disordini et errori nella entrata della porta e nelle corrispondenze delle nicchie delle facce, dove poi a molte cose è bisognato mutare forma. Ma non s’è già potuto mai, se non si disfaceva il tutto, rimediare che ella non sia fuor di scquadra e non lo mostri nel pavimento e nel palco. Vero è che nel modo che essi la posono, così come ella si truova, vi è gran fattura e fatica e merita lode assai per molte pietre lavorate col calandrino che sfuggono a quartabuono per cagione dello sbiecare della sala; ma di diligenza e d’essere bene murate, commesse e lavorate non si può fare né veder meglio. Ma molto meglio sarebbe riuscito il tutto se Baccio, che non tenne mai conto dell’architettura, si fusse servito di qualche migliore giudizio che di Giuliano, il quale, se bene era buono maestro di legname et intendeva d’architettura, non era però tale che a sì fatta opera, come quella sera, egli fusse atto, come ha dimostrato l’esperienza. Imperò tutta questa opera s’andò per ispazio di molti anni lavorando e murando poco più che la metà, e Baccio finì e messe nelle nicchie minori la statua del signor Giovanni e quella del duca Alessandro nella facciata dinanzi amendue e nella nicchia maggiore, sopra un basamento di mattoni, la statua di papa Clemente e tirò al fine ancora la statua del duca Cosimo, dove egli s’affaticò assai sopra la testa, ma con