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grande aiuto due legni grossi mezzi tondi, che per lunghezza erano a piè della travata confitti a guisa di basa, i quali posavano sopra altri legni simili insaponati, e questi erano cavati e rimessi da’ manovali di mano in mano, secondo che la macchina camminava. Con questi ordini et ingegni fu condotto con poca fatica e salvo il gigante in piazza. Questa cura fu data a Baccio d’Agnolo et Antonio vecchio da San Gallo architettori dell’Opera, i quali di poi con altre travi e con taglie doppie lo messono sicuramente in su la basa. Non sarebbe facile a dire il concorso e la moltitudine che per due giorni tenne occupata tutta la piazza, venendo a vedere il gigante tosto che fu scoperto; dove si sentivano diversi ragionamenti e pareri d’ogni sorte d’uomini e tutti in biasimo dell’Opera e del maestro. Furono appiccati ancora intorno alla basa molti versi latini e toscani, ne’ quali era piacevole a vedere gl’ingegni de’ componitori e l’invenzioni et i detti acuti. Ma trapassandosi col dir male e con le poesie satiriche e mordaci ogni convenevole segno, il duca Alessandro, parendogli sua indegnità per essere l’opera pubblica, fu forzato a far mettere in prigione alcuni, i quali senza rispetto apertamente andavano appiccando sonetti, la qual cosa chiuse tosto le bocche de’ maldicenti. Considerando Baccio l’opera sua nel luogo proprio, gli parve che l’aria poco la favorisse, facendo apparire i muscoli troppo dolci; però fatto rifare nuova turata d’asse intorno, le ritornò addosso cogli scarpelli et affondando in più luoghi i muscoli, ridusse le figure più crude che prima non erano. Scoperta finalmente l’opera del tutto, da coloro che possono giudicare è stata sempre tenuta, sì come difficile, così molto bene studiata e ciascuna delle parti attesa e la figura di Cacco ottimamente accomodata. E nel vero il Davitte di Michelagnolo toglie assai di lode all’Ercole di Baccio, essendogli a canto et essendo il più bel gigante che mai sia stato fatto, nel quale è tutta grazia e bontà, dove la maniera di Baccio è tutta diversa. Ma veramente considerando l’Ercole di Baccio da sé, non si può se non grandemente lodarlo e tanto più, vedendo che molti scultori di poi hanno tentato di far statue grandi e nessuno è arrivato al segno di Baccio; il quale se dalla natura avesse ricevuta tanta grazia et agevolezza, quanta da sé si prese fatica e studio, egli era nell’arte della scultura perfetto interamente. Desiderando lui di sapere ciò che dell’opera sua si diceva, mandò in piazza un pedante, il quale teneva in casa, dicendogli che non mancasse di riferirgli il vero di ciò che udiva dire. Il pedante non udendo altro che male, tornato malinconoso a casa e domandato da Baccio, rispose che tutti per una voce biasimano i giganti e che e’ non piacciono loro. "E tu che ne di’?", disse Baccio. Rispose: "Dicone bene e che e’ mi piacciono per farvi piacere". "Non vo’ ch’e’ ti piacciano", disse Baccio "e dì pur male ancora tu, che come tu puoi ricordarti, io non dico mai bene di nessuno. La cosa va del pari." Dissimulava Baccio il suo dolore e così sempre ebbe per costume di fare, mostrando di non curare del biasimo che l’uomo alle sue cose desse. Nondimeno egli è verisimile che grande fusse il suo dispiacere, perché coloro che s’affaticano, per l’onore e di poi ne riportano biasimo, è da credere, ancor che indegno sia il biasimo et a torto, che ciò nel cuor segretamente gli affligga e di continovo gli tormenti. Fu racconsolato il suo dispiacere da una possessione, la quale oltre al pagamento gli fu data per ordine di