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pregandola che col duca operasse di dargli commodità di condurlo al fine, et aggiugneva che era invidiato et odiato in quella città, et essendo terribile di lingua e d’ingegno, persuase il Papa a fare che ’l duca Alessandro si pigliasse cura che l’opera di Baccio si conducesse a fine e si ponesse al luogo suo in piazza. Era morto Michelagnolo orefice, padre di Baccio, il quale avendo in vita preso a fare con ordine del Papa, per gli Operai di Santa Maria del Fiore, una croce grandissima d’argento tutta piena di storie di basso rilievo della passione di Cristo, della quale croce Baccio aveva fatto le figure e storie di cera per formarle d’argento, l’aveva Michelagnolo morendo lasciata imperfetta, et avendola Baccio in mano con molte libbre d’argento, cercava che Sua Santità desse a finire questa croce a Francesco dal Prato, che era andato seco a Bologna. Dove il Papa, considerando che Baccio voleva non solo ritrarsi delle fatture del padre, ma avanzare nelle fatiche di Francesco qualche cosa, ordinò a Baccio che l’argento e le storie abbozzate e le finite si dessino agli Operai e si saldasse il conto e che gli Operai fondessero tutto l’argento di detta croce, per servirsene ne’ bisogni della chiesa stata spogliata de’ suoi ornamenti nel tempo dell’assedio; et a Baccio fece dare fiorini cento d’oro e lettere di favore acciò tornando a Firenze desse compimento all’opera del gigante. Mentre che Baccio era in Bologna, il cardinale Doria lo ’ntese che egli era per partirsi di corto: per che trovatolo a posta, con molte grida e con parole ingiuriose lo minacciò, perciò che aveva mancato alla fede sua et al debito, non dando fine alla statua del principe Doria, ma lasciandola a Carrara abbozzata, avendone presi cinquecento scudi, per la qual cosa disse che se Andrea lo potesse avere in mano, gliene farebbe scontare alla galea. Baccio umilmente e con buone parole si difese, dicendo che aveva avuto giusto impedimento, ma che in Firenze aveva un marmo della medesima altezza, del quale aveva disegnato di cavarne quella figura, e che tosto cavata e fatta, la manderebbe a Genova. E seppe sì ben dire e raccomandarsi, che ebbe tempo a levarsi dinanzi al cardinale. Dopo questo, tornato a Firenze e fatto mettere mano allo imbasamento del gigante e lavorando lui di continovo l’anno 1534, lo finì del tutto. Ma il duca Alessandro, per la mala relazione de’ cittadini, non si curava di farlo mettere in piazza. Era tornato già il Papa a Roma molti mesi innanzi e desiderando lui di fare per papa Leone e per sé nella Minerva due sepolture di marmo, Baccio presa questa occasione andò a Roma, dove il Papa si risolvé che Baccio facesse dette sepolture, dopo che avesse finito di mettere in piazza il gigante; e scrisse al Duca il Papa che desse ogni commodità a Baccio per porre in piazza il suo Ercole. Laonde fatto uno assito intorno, fu murato l’imbasamento di marmo, nel fondo del quale messono una pietra con lettere in memoria di papa Clemente VII e buon numero di medaglie con la testa di Sua Santità e del duca Alessandro. Fu cavato di poi il gigante dell’Opera, dove era stato lavorato, e per condurlo commodamente e senza farlo patire, gli feciono una travata intorno di legname, con canapi che l’inforcavano tra le gambe e corde che l’armavano sotto le braccia e per tutto; e così sospeso fra le trave in aria, sì che non toccasse il legname, fu con taglie et argani e da dieci paia di gioghi di buoi tirato a poco a poco fino in piazza. Dettono