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alcune nello scrittoio del duca Cosimo, fra un numero di più di cento antiche, tutte rare, e d’altre moderne. Aveva Baccio in questo tempo medesimo fatto una storia di figure piccole di basso e mezzo rilievo d’una Deposizione di croce, la quale fu opera rara e la fece con gran diligenza gettare di bronzo: così finita la donò a Carlo Quinto di Genova, il quale la tenne carissima e di ciò fu segno che sua maestà dette a Baccio una commenda di San Iacopo e lo fece cavaliere. Ebbe ancora dal principe Doria molte cortesie, e dalla republica di Genova gli fu allogato una statua di braccia sei di marmo, la quale doveva essere un Nettunno in forma del principe Doria, per porsi in su la piazza in memoria delle virtù di quel principe e de’ benefizii grandissimi e rari, i quali la sua patria Genova aveva ricevuti da lui. Fu allogata questa statua a Baccio per prezzo di mille fiorini, de’ quali ebbe allora cinquecento, e subito andò a Carrara per abbozzarla alla cava del Polvaccio. Mentre che ’l governo popolare, dopo la partita de’ Medici, reggeva Firenze, Michelagnolo Buonarroti fu adoperato per le fortificazioni della città, e fugli mostro il marmo che Baccio aveva scemato insieme col modello d’Ercole e Cacco, con intenzione che se il marmo non era scemato troppo, Michelagnolo lo pigliasse e vi facesse due figure a modo suo. Michelagnolo, considerato il sasso, pensò un’altra invenzione diversa, e lasciato Ercole e Cacco, prese Sansone che tenesse sotto due Filistei abbattuti da lui, morto l’uno del tutto e l’altro vivo ancora, al quale menando un marrovescio con una mascella di asino, cercasse di farlo morire. Ma come spesso avviene che gli umani pensieri talora si promettono alcune cose, il contrario delle quali è determinato dalla sapienza d’Iddio, così accade allora perché, venuta la guerra contro alla città di Firenze, convenne a Michelagnolo pensare ad altro che a pulir marmi, et ebbesi per paura de’ cittadini a discostare dalla città. Finita poi la guerra e fatto l’accordo, papa Clemente fece tornare Michelagnolo a Firenze a finire la sagrestia di San Lorenzo e mandò Baccio a dar ordine di finire il gigante, il quale mentre che egli era intorno, aveva preso le stanze nel palazzo de’ Medici, e per parere affezzionato scriveva quasi ogni settimana a Sua Santità entrando, oltre alle cose dell’arte, ne’ particolari de’ cittadini e di chi ministrava il governo, con uffici odiosi e da recarsi più malivolenza addosso che egli non aveva prima. Là dove al duca Alessandro tornato dalla corte di sua maestà in Firenze furono da’ cittadini mostrati i sinistri modi che Baccio verso di loro teneva, onde ne seguì che l’opera sua del gigante gli era da’ cittadini impedita e ritardata quanto da loro far si poteva. In questo tempo, dopo la guerra d’Ungheria, papa Clemente e Carlo imperadore abboccandosi in Bologna dove venne Ippolito de’ Medici cardinale et il duca Alessandro, parve a Baccio d’andare a baciare i piedi a Sua Santità, e portò seco un quadro alto un braccio e largo uno e mezzo d’un Cristo battuto alla colonna da due ignudi, il quale era di mezzo rilievo e molto ben lavorato. Donò questo quadro al Papa, insieme con una medaglia del ritratto di Sua Santità, la quale aveva fatta fare a Francesco dal Prato suo amicissimo; il rovescio della quale medaglia era Cristo flagellato. Fu accetto il dono a Sua Santità, alla quale espose Baccio gl’impedimenti e le noie avute nel finire il suo Ercole,