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Fece ancora in questo tempo un cartone per fare un quadro, dove era Cristo deposto di croce tenuto in braccio da Niccodemo e la madre sua in piedi che lo piangeva, et un Angelo che teneva in mano i chiodi e la corona delle spine; e subito messosi a colorirlo, lo finì prestamente e lo messe a mostra in Mercato Nuovo su la bottega di Giovanni di Goro orefice, amico suo, per intenderne l’opinione degli uomini e quel che Michelagnolo ne diceva. Fu menato a vederlo Michelagnolo dal Piloto orefice, il quale considerato che ebbe ogni cosa, disse che si maravigliava che Baccio sì buono disegnatore si lasciasse uscir di mano una pittura sì cruda e senza grazia; che aveva veduto ogni cattivo pittore condurre l’opere sue con miglior modo; e che questa non era arte per Baccio. Riferì il Piloto il giudizio di Michelagnolo a Baccio il quale, ancor che gli portasse odio, conosceva che diceva il vero. E certamente i disegni di Baccio erano bellissimi, ma co’ colori gli conduceva male e senza grazia, per che egli si risolvé a non dipignere più di sua mano, ma tolse appresso di sé un giovane che maneggiava i colori assai acconciamente, chiamato Agnolo, fratello del Francia Bigio, pittore eccellente, che pochi anni innanzi era morto. A questo Agnolo disiderava di far condurre la tavola di Cestello, ma ella rimase imperfetta, di che fu cagione la mutazione dello stato in Firenze, la quale seguì l’anno 1527, quando i Medici si partirono di Firenze dopo il Sacco di Roma. Dove Baccio non si tenendo sicuro, avendo nimicizia particulare con un suo vicino alla villa di Pinzerimonte, il quale era di fazzion popolare, sotterrato che ebbe in detta villa alcuni cammei et altre figurine di bronzo antiche che erano de’ Medici, se n’andò a stare a Lucca. Quivi s’intrattenne fino a tanto che Carlo V imperadore venne a ricevere la corona in Bologna; di poi fattosi vedere al Papa se n’andò seco a Roma, dove ebbe al solito le stanze in Belvedere. Dimorando quivi Baccio, pensò Sua Santità di satisfare a un voto il quale aveva fatto mentre che stette rinchiuso in Castel Sant’Agnolo; il voto fu di porre sopra la fine del torrione tondo di marmo, che è a fronte al ponte di Castello, sette figure grandi di bronzo di braccia sei l’una, tutte a giacere in diversi atti, come cinte da un Angelo, il quale voleva che posasse nel mezzo di quel torrione sopra una colonna di mischio et egli fusse di bronzo con la spada in mano. Per questa figura dell’Angelo intendeva l’angelo Michele, custode e guardia del Castello, il quale col suo favore et aiuto l’aveva liberato e tratto di quella prigione, e per le sette figure a giacere poste significava i sette peccati mortali, volendo dire che con l’aiuto dell’Angelo vincitore aveva superati e gittati per terra i suoi nimici, uomini scelerati et empi, i quali si rappresentavano in quelle sette figure de’ sette peccati mortali. Per questa opera fu fatto fare da Sua Santità un modello, il quale essendole piaciuto ordinò che Baccio cominciasse a fare le figure di terra grande quanto avevano a essere, per gittarle poi di bronzo. Cominciò Baccio e finì in una di quelle stanze di Belvedere una di quelle figure di terra, la quale fu molto lodata. Insieme ancora, per passarsi tempo e per vedere come gli doveva riuscire il getto, fece molte figurine alte due terzi e tonde come Ercoli, Venere, Apollini, Lede et altre sue fantasie, e fattele gittar di bronzo a maestro Iacopo della Barba fiorentino, riuscirono ottimamente. Di poi le donò a Sua Santità et a molti signori, delle quali ora ne sono