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quanto lodar si possa il Laoconte. Il cardinal de’ Medici e Bibbiena che erano con loro, domandorono se il re arebbe cara una simile cosa; risposono che sarebbe troppo gran dono. Allora il cardinale gli disse: "A sua maestà si manderà o questo o un simile che non ci sarà differenza". E risolutosi di farne fare un altro a immitazione di quello, si ricordò di Baccio, e mandato per lui lo domandò se gli bastava l’animo di fare un Laoconte pari al primo. Baccio rispose che non che farne un pari gli bastava l’animo di passare quello di perfezzione. Risolutosi il cardinale che vi si mettesse mano, Baccio mentre che i marmi ancora venivano, ne fece uno di cera, che fu molto lodato; et ancora ne fece un cartone di biacca e carbone della grandezza di quello di marmo. Venuti i marmi e Baccio avendosi fatto in Belvedere fare una turata con un tetto per lavorare, dette principio a uno de’ putti del Laoconte, che fu il maggiore, e lo condusse di maniera, che ’l Papa e tutti quegli che se ne intendevano rimasono satisfatti, perché dall’antico al suo non si scorgeva quasi differenza alcuna. Ma avendo messo mano all’altro fanciullo et alla statua del padre, che è nel mezzo, non era ito molto avanti, quando morì il Papa. Creato di poi Adriano Sesto, se ne tornò col cardinale a Firenze, dove s’intratteneva intorno agli studi del disegno; morto Adriano VI e creato Clemente Settimo, andò Baccio in poste a Roma per giugnere alla sua incoronazione, nella quale fece statue e storie di mezzo rilievo per ordine di Sua Santità. Consegnategli di poi dal Papa stanze e provisione, ritornò al suo Laoconte, la quale opera con due anni di tempo fu condotta da lui con quella eccellenza maggiore che egli adoperasse già mai. Restaurò ancora l’antico Laoconte del braccio destro, il quale essendo tronco e non trovandosi, Baccio ne fece uno di cera grande che corrispondeva co’ muscoli e con la fierezza e maniera all’antico e con lui s’univa di sorte, che mostrò quanto Baccio intendeva dell’arte, e questo modello gli servì a fare l’intero braccio al suo. Parve questa opera tanto buona a Sua Santità, che egli mutò pensiero et al re si risolvé mandare altre statue antiche e questa a Firenze, et al cardinale Silvio Passerino cortonese legato in Fiorenza, il quale allora governava la città, ordinò che ponesse il Laoconte nel palazzo de’ Medici nella testa del secondo cortile, il che fu l’anno 1525. Arrecò questa opera gran fama a Baccio, il quale, finito il Laoconte, si dette a disegnare una storia in un foglio reale aperto per satisfare a un disegno del Papa, il quale era di far dipignere nella cappella maggiore di San Lorenzo di Firenze il martirio di San Cosimo e Damiano in una faccia, e nell’altra quello di San Lorenzo quando da Decio fu fatto morire su la graticola. Baccio addunque l’istoria di San Lorenzo disegnando sottilissimamente, nella quale immitò con molta ragione et arte vestiti et ignudi et atti diversi de’ corpi e delle membra e varii esercizii di coloro che intorno a San Lorenzo stavano al crudele ufficio e particularmente l’empio Decio, che con minaccioso volto affretta il fuoco e la morte all’innocente martire, il quale alzando un braccio al cielo raccomanda lo spirito suo a Dio; così con questa storia satisfece tanto Baccio al Papa, che egli operò che Marcantonio Bolognese la ’ntagliasse in rame, il che da Marcantonio fu fatto con molta diligenza et il Papa donò a Baccio per ornamento della sua virtù un cavalier di San Piero. Dopo questo, tornatosene a Firenze, trovò Giovanfrancesco Rustici,