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tutti gl’ornamenti delle celate e cimieri et imprese con sottil magisterio; onde acquistò gran nome e molta famigliarità co’ figliuoli del Magnifico Lorenzo, a’ quali fu poi sempre molto cara l’opera sua et a lui utile la conoscenza loro e l’amistà, per la quale e per molti lavori ancora fatti da lui per tutta la città e dominio egli divenne benestante, non meno che riputato da molto nell’arte sua. A questo Michelagnolo, nella partita loro di Firenze l’anno 1494, lasciorno i Medici molti argenti e dorerie e tutto fu da lui segretissimamente tenuto e fedelmente salvato fino al ritorno loro, da’ quali fu molto lodato dappoi della fede sua e ristorato con premio. Nacque a Michelagnolo l’anno 1487 un figliuolo, il quale egli chiamò Bartolomeo, ma di poi, secondo la consuetudine di Firenze, fu da tutti chiamato Baccio. Desiderando Michelagnolo di lasciare il figliuolo erede dell’arte e dell’avviamento suo, lo tirò appresso di sé in bottega in compagnia d’altri giovani, i quali imparavano a disegnare, perciò che in que’ tempi così usavano e non era tenuto buono orefice chi non era buon disegnatore e che non lavorasse bene di rilievo. Baccio, addunque, ne’ suo’ primi anni attese al disegno, secondo che gli mostrava il padre, non meno giovandogli a profittare la concorrenza degli altri giovani, tra’ quali s’addomesticò molto con uno chiamato il Piloto, che riuscì di poi valente orefice e seco andava spesso per le chiese disegnando le cose de’ buoni pittori, ma col disegno mescolava il rilievo, contrafacendo in cera alcune cose di Donato e del Verrocchio, et alcuni lavori fece di terra di tondo rilievo. Essendo ancora Baccio nell’età fanciullesca, si riparava alcuna volta nella bottega di Girolamo del Buda, pittore ordinario su la piazza di San Pulinari, dove essendo un verno venuta gran copia di neve e di poi dalla gente ammontata su detta piazza, Girolamo rivolto a Baccio gli disse per ischerzo: "Baccio, se questa neve fussi marmo, non se ne caverebbe egli un bel gigante come Marforio a giacere?" "Caverebbesi", rispose Baccio, "et io voglio che noi facciamo come se fusse marmo." E posata prestamente la cappa, messe nella neve le mani e da altri fanciulli aiutato, scemando la neve dove era troppa et altrove aggiugnendo, fece una bozza d’un Marforio di braccia otto a giacere, di che il pittore et ognuno restorono maravigliati, non tanto di ciò che egli avesse fatto, quanto dell’animo che egli ebbe di mettersi a sì gran lavoro così piccolo e fanciullo. Et invero Baccio avendo più amore alla scultura che alle cose dell’orefice, ne mostrò molti disegni, et andato a Pinzirimonte, villa comperata da suo padre, si faceva stare spesso innanzi i lavoratori ignudi e gli ritraeva con grande affetto, il medesimo facendo degli altri bestiami del podere. In questo tempo continovò molti giorni d’andare la mattina a Prato vicino alla sua villa, dove stava tutto il giorno a disegnare nella cappella della pieve, opere di fra’ Filippo Lippi, e non restò fino a tanto che e’ l’ebbe disegnata tutta ne’ panni immitando quel maestro in ciò raro; e già maneggiava destramente lo stile e la penna e la matita rossa e nera, la quale è una pietra dolce che viene de’ monti di Francia, e segatele le punte conduce i disegni con molta finezza. Per queste cose, vedendo Michelagnolo l’animo e la voglia del figliuolo, mutò ancora egli con lui pensiero, et insieme consigliato dagli amici lo pose sotto la custodia di Giovanfrancesco Rustici, scultore de’ migliori della città dove ancora di continovo praticava Lionardo