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un duello all’americana 35

bito un formidabile assalto alle diverse portate, scherzando amabilmente e deridendo i negri. Pareva che avessero già dimenticato che uno di loro stava ingollando il suo ultimo pasto.

Suonavano le sette alla ricca pendola dorata, collocata all’estremità del vasto salone, quando mister Torpon si alzò, dicendo:

— Vado ad accomodare l’affare col proprietario, mentre la bottiglia di champagne gela per brindare al morto.

— Ed io vado a provvedere le armi, — disse il maestro di boxe del canadese.

— Spicciatevi!... — disse l’americano.

Accese un grosso sigaro, essendo la cena ormai terminata, e si fece condurre nel gabinetto del proprietario, il quale stava seduto dinanzi ad una monumentale cassa-forte, tutto immerso nella lettura d’una copia del New-York Herald.

Mister, — gli disse senza preamboli Torpon, — è libero tutto l’ultimo piano del vostro hôtel?

— Disgraziatamente sì, mio gentleman, — rispose l’albergatore, il quale avendo riconosciuto subito il personaggio che aveva ordinata quella cena luculliana e costosissima, era diventato subito molto amabile. — La stagione è cattiva e gli affari non prosperano al principio dell’inverno e....

— Vorreste affittarlo tutto a me per quarant’otto ore?

— Tutto!... Vi sono trenta stanze ed una sala lassù, mio gentleman.

— Non importa: fissate il prezzo. Io non ho l’abitudine di lesinare. — L’albergatore si lisciò due o tre volte la sua barba da becco e guardo con sorpresa il suo compatriotta.

— Ma.... ditemi, aspettate molti altri amici forse?

— Niente affatto. Non siamo che noi quattro.