Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
32 | capitolo iii. |
Essendovi poche persone, potevano parlare a loro agio senza poter essere disturbati, nè uditi.
L’yankee, abituato a fare le cose in grande, ordinò una cena degna d’un milionario come era lui, poi mentre si faceva servire, tanto per aguzzare maggiormente l’appetito, un paio di bottiglie di vino del Reno a cinque dollari l’una e cinque dozzine di gamberi di California a venti cents l’uno, disse:
— Signor di Montcalm, vi ringrazio di aver accettato la mia proposta di seguirmi su territorio americano per definire una buona volta la nostra eterna questione, poichè vi dichiaro francamente che io sono estremamente stanco dei brutti giuochi che ci fa continuamente il destino.
— Ed io non meno di voi, — rispose il canadese.
— Voi non rinuncierete mai al possesso di miss Ellen Perkins?
— Mai, dovessi affrontare mille volte la morte.
— Nemmeno se vi offrissi dei milioni?
— Oh!... Meno che meno. Un Montcalm non si lascia comperare dai dollari.
— Vi stimo doppiamente, parola d’yankee.
— Suvvia, dove volete andare a finire? — chiese il canadese, facendo un gesto d’impazienza.
— Io vorrei farvi un’altra proposta.
— Di ritentare la partita di boxe?
— Avremmo delle altre noie da parte delle autorità e forse nessun risultato decisivo, poichè siamo, credo, della medesima forza anche in questo campo dello sport. Vorrei qualche cosa di più serio.
— Dite pure.
— Un giuoco, per esempio, che finisse col mandare me o voi a fare la conoscenza con Caronte e colla sua barca, ammesso che navighi ancora sulle nere acque dello Stige.