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il ritorno 311

pidamente come se s’immergesse nel mar libero polare, quando l’automobile e la sua vettura volsero le spalle al nord slanciandosi attraverso le isolette collegate fra di loro da banchi di ghiaccio abbastanza solidi per reggerli.

Fuggivano temendo che le grandi nevicate li immobilizzassero sulle terre di Grant, di Grinnell o di Ellesmore, le più fredde e le più battute dagli uragani di tutte quelle che si stendono al di là dell’oceano artico.

Dopo due giorni di corsa quasi continua, poichè splendide aurore boreali illuminavano, meglio che il pallidissimo sole, quelle plaghe desolate, il treno riattraversava felicemente lo stretto di Robison all’altezza della baia di Markham.

Dieci ore di sosta, o meglio di sonno, poi eccoli nuovamente in corsa, prima attraverso la terra di Grant, poi quella di Grinnell.

Il freddo era aumentato spaventosamente. L’enorme calotta polare, formata di ghiacci antichissimi e di campi di ghiaccio sconfinati, soffiava nebbioni e nevicate abbondanti.

Due giorni ancora ed ecco i fortunati conquistatori del Polo sulla terra di Ellesmore, in rotta per quella di Lincoln.

Poi eccoli in gran corsa attraverso il canale di Jones, che superarono senza provare le tremende pressioni che li avevano sorpresi sullo stretto di Lancaster.

La benzina sfumava rapidamente, ma i grossi serbatoi del carrozzone ne davano sempre come se fossero inesauribili.

Erano ancora ben lontani dal forte di Churchill, l’unico posto dove potessero rifornirsi, pure non disperavano di raggiungerlo e non completamente asciutti.

E la corsa continuava furiosa, febbrile, giorno e notte, con brevissimi riposi, sovente fra spaventose bufere di neve, attraverso prima la terra di Devon, poi quella di Baffin, quella di Boothia; quindi eccoli sulle spiaggie della immensa baia di Hud-