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le ultime corse 279


Walter riprendiamo il nostro sonno.

— Volentieri, signor Gastone. Ora che so di non dover morire di fame dormirò più tranquillo. —

Si rincantucciarono in fondo alla vettura, ricaricarono per precauzione le armi, quantunque avessero la convinzione di non ricevere altre visite da parte di quei pericolosi signori del Polo, e non tardarono a riprendere il sonno così bruscamente interrotto.

Al mattino la tempesta infuriava ancora e, sempre con eguale violenza, la neve continuava a turbinare.

Una semi-oscurità avvolgeva l’isola quantunque la dormita degli esploratori si fosse prolungata fino dopo le dieci.

Intorno alla vettura si erano accumulate delle enormi masse di neve le quali oltrepassavano la capote.

— Siamo come sepolti, — disse lo studente, mentre Dik si sforzava di far agire il motore per riscaldare un po’ l’interno della vettura. — Come faremo a uscire, signor Gastone?

— Colle nostre gambe e colle nostre picozze, — rispose il canadese. — Fortunatamente nella cassa abbiamo anche dei badili per aprirci il passo.

— E ritrovare il nostro orso, signore. Se mi dovesse mancare anche la colazione mi sentirei di morire molto presto.

— Il grande freddo domanda la sua parte di carbone che pei nostri corpi deve essere rappresentato da carne, a qualunque specie d’animali appartenga.

— E dove cucineremo noi le nostre bistecche? Non abbiamo qui la stufa.

— Se fossimo degli esquimesi non ci troveremmo imbarazzati, Walter.

— Volete dire?

— Che si potrebbe farle arrostire sulla fiamma dei fanali.

— Puah!... — fece lo studente sputando un pezzo di ghiaccio che gli si era formato in bocca.