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258 capitolo xx.


— Gira e rigira in qualche luogo andrò a finire, — si disse l’allegro giovanotto, il quale essendo armato di due fucili non si inquietava gran che. — Che finisca al Polo? Le mie gambe, dopo tutto, sono quelle d’un saltatore e d’un corridore. —

Camminò per una diecina di minuti, bestemmiando contro il nebbione che gli si accumulava addosso, rinserrandolo da tutte le parti, poi fece un rapido dietro front e si caccio dietro un piccolo hummok cercando di farsi più piccino che gli era possibile. A breve distanza aveva udito un muggito, seguito poco dopo da un altro più rauco e non meno minaccioso.

— I buoi muschiati!... — esclamò, a mezza voce. — Altro che automobile!... Che io sia proprio destinato a lasciare le mie budella sulle corna di quegli animali? —

In quell’istante udì uno sparo, poi un secondo, quindi un terzo.

— Le Colt del signor Gastone!... — mormorò. — Deve essersi accorto della mia scomparsa e mi chiama.

Che cosa fare? Se rispondo mi attirerò addosso tutta la banda dei buoi, e non sarà questo miserabile monticello di ghiaccio, che non è più alto di due metri, che mi salverà.

Corpo di tutte le corone e di tutte le spade di Giove!... Eccomi in un bell’imbarazzo. —

Un quarto, poi un quinto sparo rimbombarono, ma così lontani che lo studente ne fu spaventato.

Doveva aver percorso parecchi chilometri in mezzo al nebbione, credendo di girare sempre intorno al treno.

Malgrado il freddo intensissimo che avrebbe spaccato perfino una pietra, Walter si sentì bagnare la fronte da grosse goccie di sudore.

— Triplice imbecille, — mormorò. — Che cosa fare dunque? Continuare a rivolgermi questa domanda senza nulla risolvere? —