Pagina:Una sfida al Polo.djvu/262

256 capitolo xx.


— Oh mai, signor mio.

— Allora seguiteci, — disse il canadese. — Noi vi scorteremo coi mauser e le Colt. —

Prima di scendere si misero in ascolto, per paura che non tutti i buoi muschiati fossero fuggiti, poi rassicurati dal silenzio che regnava intorno al treno, rotto solamente di quando in quando da qualche ululato del vento, si diressero sollecitamente verso l’automobile, le cui ruote erano coperte da uno strato di ghiaccio.

— All’opera, Dik, e subito, — disse il canadese, con voce imperiosa — Approfittiamo di questo momento di sosta.

Io me ne intendo abbastanza di meccanica e vi aiuterò.

— Ed io che non me ne intendo affatto monterò la guardia, — disse lo studente. — Corpo delle cento balene ramponate da mastro Dik!... Voglio vedere se quelle bestiaccie oseranno ancora circondarci. —

Si gettò sulle spalle anche il secondo mauser, e mentre lo chaffeur ed il canadese si mettevano alacremente all’opera per cercare il guasto e ripararlo, si mise a battere audacemente i dintorni, tuffandosi nel nebbione, il quale non accennava a lasciare il posto ai raggi solari.

Sia che fosse per dare una prova del suo coraggio o che se ne infischiasse delle corna dei bufali, l’imprudente prese il largo smarrendosi ben presto fra le masse di vapore.

Quando se ne accorse era troppo tardi.

Il treno era scomparso in mezzo al nebbione.

— Che diamine!... — esclamò lo studente, un po’ pentito della sua imprudenza. — Non ammetterò mai che il signor di Montcalm sia partito senza di me. Se fosse quel Dik!... —

Tese gli orecchi e non udì più i colpi di martello che poco prima giungevano fino a lui, nè i fragori del motore.

— Corpo di Giove!... — esclamò, che mi sia proprio