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248 capitolo xix.


— Signor mio, datemi la bottiglia che io ho vinto, così intanto l’assaggerò.

— Andate a prendervela all’inferno!... — gridò Walter, furioso.

— Niente affatto, vado a prendermela nella dispensa.

— Avete ragione, Dik, — disse ii canadese. — Servitevi pure: Walter più tardi me la pagherà.

— Mi rimangono ancora due dollari da giuocare, signor Gastone, — disse lo studente. — Io spero ancora di fare un buon affare, corpo di tutti i fulmini di Giove.

— Volete ricominciare?

— Diamine!... Con due palle posso andare molto lontano. —

Tornò ad imbracciar il fucile, allargò ben bene le gambe per prendere una posa rigida, mirò più a lungo di prima e lasciò partire il secondo colpo.

Questa volta il vecchio maschio fece un brusco scarto, alzando vivamente la testaccia e mandando un lungo muggito, ma rimase ancora ritto sulle sue zampe.

— Per tutte le code del diavolo!... — urlò lo studente. — Come va questa faccenda?

— Il diavolo ci ha messo una delle sue code ed io ho guadagnato un’altra bottiglia e salvata la mia seconda pipa, — disse Dik.

— Signor Gastone, ci capite nulla voi? — chiese Walter al canadese, che lo guardava ridendo.

— Anzi, ci capisco molto, mio caro Walter, e cioè che la vostra borsa si è alleggerita di un altro dollaro.

— Eppure anche questa volta ho colpito il bersaglio.

— Non lo nego.

— Sono dunque impastati coll’acciaio quei maledetti animali?