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un dramma polare 233


— Avete capito, mastro baleniere? — gridò lo studente. — Vi raccomando i miei gabbiani.

— Che mangerete voi solo, — rispose lo chaffeur. — Io preferisco un filetto d’orso bianco.

— Come vi piace: io tengo più ai miei volatili.

— Andiamo, Walter, — disse il canadese.

Presero i loro fucili ed i loro coltellacci, non essendo improbabile l’incontro di qualche orso bianco, e scesero la spiaggia interrotta da seni e da minuscoli fiords.

Tutto il golfo, il quale si prolunga fra la terra omonima che si frastaglia a ponente e quella di Baffin a levante, era gelato.

S’aprivano però qua e là dei larghi canali, in mezzo ai quali sfilavano gli ice-bergs.

Una luce intensissima, d’una bianchezza diafana, che il cielo, coperto di nubi gravide di neve, rifrangeva, lo illuminava tutto: era l’ice-blink.

— Che inverno precoce, — disse il canadese. — Guai se i balenieri si fossero quest’anno indugiati.

— Che ne troviamo qualcuno rinchiuso fra i ghiacci? — chiese lo studente.

— Può darsi, Walter. Questo freddo intenso è però favorevole a noi poichè potremo correre, senza alcun pericolo, attraverso i canali del Reggente e di Lancaster e raggiungere le terre di Lincoln e di Ellesmere. Oh!... Toh!... Che cos’è quella massa oscura che si scorge laggiù, rinserrata nel pak?

— Qualche trichecho forse?

— Non mi sembra, Walter. Si direbbe piuttosto un rottame.

— Possibile?

— Andiamo a vedere. —

Una massa piuttosto grigiastra, anzichè nerastra come una morsa od una foca, si scorgeva in mezzo al ghiaccio, ad un duecento metri da un piccolo fiord. Un animale non doveva