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232 | capitolo xviii. |
nure settentrionali, muovendo sul Wager River, che non è affatto un fiume, bensì un altro lunghissimo e largo fiord che sbocca di fronte all’isola di Southampton.
Il terreno era diventato nuovamente migliore, sicchè Dik, il quale pareva pel momento che si fosse dimenticato delle promesse fatte a mister Torpon, spingeva la velocità talvolta perfino a sessanta miglia all’ora.
Se non vi fosse stato il carrozzone, quel diavolo d’uomo non avrebbe esitato a lanciarlo anche a cento, non essendovi alcun pericolo di schiacciare delle persone, ma non doveva dimenticare il peso considerevole che il motore era costretto a trainare.
Ancora tre ore di corsa velocissima in mezzo ad un piccolo uragano di neve ed il treno giungeva sulle rive del golfo di Boothia, un grado e mezzo sopra del circolo polare artico.
— Se continuiamo così e non succedono guasti, fra cinque o sei giorni al più, noi faremo colazione al Polo, mio caro Walter, — disse il canadese, nel momento che l’automobile si arrestava.
— Siamo infatti molto innanzi, signor Gastone. Me ne accorgo dal freddo intenso.
Quanti gradi avremo?
— Trentacinque sotto.
— Brrr!... Eppure si può ancora resistere abbastanza bene.
— Perchè non soffia il vento del nord.
— Ci fermiamo qui?
— Voglio prima assicurarmi dello stato dei ghiacci.
— Correremo sul mare?
— Sarà molto meglio, Walter, così raggiungeremo più presto l’isola di Devon.
Lasciamo che si occupi Dik della cucina per oggi, e noi andiamo a fare una piccola esplorazione lungo la costa.