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un dramma polare | 231 |
pori turbinanti, procedendo con una velocità di trenta miglia all’ora, velocità che se fosse durata sole dieci ore, avrebbe potuto condurre gli esploratori fino sulle coste meridionali del vastissimo golfo di Boothia.
La pianura si manteneva sempre abbastanza buona, quantunque, di quando in quando, si presentassero dei crepacci che l’ex-baleniere evitava con grande fatica e che talvolta invece superava quasi di volata, facendo subire alle due vetture dei soprassalti spaventosi.
A mezzodì il treno giungeva sulle rive del Chesterfied, una specie di fiord che staccandosi dalla baia d’Hudson s’inoltra entro terra per parecchie dozzine di leghe.
Essendo la sua superficie tutta gelata, l’automobile vi si avventurò, senza perdere tempo a girarlo verso ponente.
Giganteschi ice-bergs, alti due e perfino trecento metri, si erano qua e là accumulati, formando talvolta delle barriere che apparivano insuperabili.
Il freddo intenso li aveva però saldamente imprigionati entro il pak, sicchè non c’era pericolo che da un momento all’altro perdessero l’equilibrio e schiacciassero il treno.
Descrivendo delle grandi curve e dei vasti angoli, l’automobile avanzava sempre, perseguitato da vere nubi di volatili, i quali osavano perfino precipitarsi sugli esploratori colle loro grida rauche e discordi.
Erano così poco paurosi, che anche presi a fucilate, dopo qualche minuto tornavano alla carica.
Walter era riuscito a strozzarne perfino alcuni colle mani, e li aveva messi da parte, contando di prepararseli per la cena, quantunque il canadese ed anche l’ex-baleniere avessero fatto delle smorfie molto significanti. Valeva infatti molto meglio la carne dell’orso bianco, più saporita e meno coriacea.
Un’ora più tardi l’automobile correva nuovamente sulle pia-