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220 | capitolo xvii. |
e dopo d’aver aspirata l’aria freddissima, empiendo per bene i suoi polmoni, disse:
— Nulla di spezzato nè dentro nè fuori. Non poteva andare meglio.
— Per noi, ma per l’automobile? — chiese il signor di Montcalm.
Lo chaffeur alzò impercettibilmente le spalle, poi rispose:
— Se avrà qualche cosa di rotto la medicheremo sul posto, senza mandarla all’ospitale.
— Che sarebbe troppo lontano, — aggiunse lo studente. — Corpo di tutti i fulmini di Giove!... Dove siamo noi?
— Ve lo dirò io, — disse il canadese. — Sulla superficie gelata d’un corso d’acqua.
— E perchè questo vuoto? Si direbbe che noi siamo precipitati in una galleria.
— Perchè l’acqua prima era alta assai ed ha fatta la sua prima crosta di ghiaccio, poi si è abbassata ed ha formata questa, lasciando così un gran vuoto che può prolungarsi per parecchie centinaia di chilometri.
— E come faremo noi a risalire alla superficie? Ci vorrebbe un potente argano a vapore.
— Seguiremo il fiume fino alla sua foce.
— E dove andremo a finire?
— Nella baia d’Hudson, senza dubbio, — rispose il canadese.
Questa brutta avventura ci farà perdere del tempo.
— Non so che cosa farci, mio caro. E dunque, Dik? —
L’ex-baleniere che stava esaminando l’automobile, alzò la testa e dopo d’aver fatta schioccare la lingua, rispose:
— Bisogna credere che qualche Santo abbia protetto noi e la nostra macchina insieme. È vero che abbiamo fatto un