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una battaglia coi trichechi 215

luminazione, il canadese non ebbe alcuna difficoltà a farsene cedere tanta da riempire tutti i suoi lattoni.

— Se noi rimarremo senza, — disse l’ospitale borghese, — bruceremo olio di foca o di morsa.

I miei uomini non sono così delicati da non soffrire un po’ di sgradevole odore. —

Quella notte gli esploratori si riposarono in buoni letti, al riparo dalle intemperie e soprattutto dal freddo che aumentava spaventosamente di ora in ora, ma all’indomani, ai primi albori, malgrado le proteste dei cacciatori che desideravano averli loro ospiti qualche giorno ancora, erano già sull’automobile, pronti a slanciarsi verso il Grande Nord.

Gli addii furono commoventi e gli auguri infiniti, e verso le otto, nel momento in cui la nebbia cominciava a diradarsi sotto gl’impetuosi colpi di vento del settentrione, il treno riprendeva la sua corsa fra gli hurràh rimbombanti ed i colpi di fucile della piccola guarnigione.

— Che brava gente!... — esclamò il campione di Cambridge, ancora entusiasmato dall’accoglienza ricevuta. — Avrei passato fra quei cacciatori l’inverno intero.

— Senza andare al Polo?

— Ah questo no, signor Gastone. Preferisco andare a vedere che cosa c’è lassù.

— E che cosa credete di trovare lassù? — chiese il canadese, ridendo.

— Che ne so io? Almeno uno dei due cardini del mondo al quale noi daremo un po’ d’olio.

Per Giove!... Dopo tante centinaia di secoli, deve essere bene arrugginito.

— Dite delle migliaia.

— Come volete, signor Gastone. Fa lo stesso.

Ma, dite un po’: che ci siano degli abitanti al Polo?