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184 capitolo xiv.

nente per non trovarsi improvvisamente sulle coste della grande baia e cadervi dentro. Intorno agli esploratori, rannicchiati sui loro sedili, da ogni parte imperversava la bufera di neve, piena di ululati e di fragori sinistri.

L’orizzonte si era chiuso rapidamente sotto un denso velo di nebbia il quale si avanzava coll’impeto delle onde del mare sospinte dall’uragano. Pareva che una falce gigantesca, vertiginosamente agitata, volesse precipitarsi sul treno e spazzarlo via o sminuzzarlo.

Nelle alte regioni dell’aria turbinavano migliaia di ghiacciuoli, sottili come spilli, i quali di quando in quando si abbattevano sull’automobile, colpendo senza misericordia Dik, non protetto dalla capote di cuoio, pungendogli dolorosamente il viso e le mani esposte sul volante.

Di quando in quando le raffiche cessavano, come se desiderassero un po’ di riposo per riprendere maggior lena, poi si scatenavano con furia indicibile, ululando o ruggendo e scagliando dentro l’automobile turbini di neve e di ghiacciuoli i quali s’ingolfavano, come una tromba, perfino dentro la capote, strappando al poco paziente campione di Cambridge una interminabile sfilza di maledizioni.

L’automobile correva, correva: il suo motore funzionava sempre rabbiosamente per vincere gli urti sempre più poderosi del vento. Si era affondata nella nebbia, la quale aveva finito per raggiungerlo.

Una oscurità densissima ormai l’avvolgeva. Dove andava? Attraverso la tempesta che ruggiva da tutte le parti, senza poter avere una direzione esatta.

Ad un tratto la macchina si drizzò come un cavallo che s’inalbera sotto un poderoso colpo di sperone e ricadde pesantemente, seppellendosi quasi intera in un enorme cumulo di neve che aveva sfondato col proprio peso.