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168 | capitolo xiii. |
villaggio e contro l’automobile delle vere trombe di neve che però subito tornavano a disperdersi.
Il freddo poi era diventato così intenso che l’alito dello studente, appena uscito dalla bocca, si tramutava in nevischio.
Un termometro collocato all’aperto avrebbe certamente segnato 30° sotto zero e fors’anche di più.
Gli esquimesi non si facevano vivi, però Walter di quando in quando udiva le loro voci uscire attraverso i corridoi delle capanne.
Probabilmente stavano discutendo per formare il loro piano di guerra. Fors’anche stavano interrogando il disgraziato Dik, disgraziato pei due esploratori, i quali non potevano avere su quel birbaccione il più lontano sospetto.
Walter bevette il suo grog, accese la sua corta pipa di radica autentica e tornò ad avvilupparsi nella sua pelle di bisonte, mentre il canadese vegliava dietro ai finestrini sagrando contro quella maledetta sbarra di ferro che gli impediva di uscire.
Era trascorsa una mezz’ora, quando lo studente udì il signor di Montcalm che chiamava:
— Walter!...
— Che cosa c’è, signore? — chiese l’inglese.
— Che sia questo freddo cane che ci rende stupidi?
— Perchè, signor Gastone?
— Voi siete fuori ed io sono ancora chiuso dentro e nell’impossibilità di raggiungervi senza togliere un’altra tavola, mentre sarebbe così facile, specialmente con un saltatore come voi, fare quattro passi all’aperto.
— Che cosa diavolo dite, signor Gastone?
— Un salto di tre metri in mezzo alla neve non vi spaventa?
— Ma nemmeno se quel salto fosse di dieci yarde.