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166 | capitolo xiii. |
in una allegra risata, segno evidente che le minaccie degli esquimesi non erano riuscite affatto ad impressionarlo. — Un martello ed uno scalpello, signor Gastone. A voi la guardia della fortezza ed a me quella del bastione dominante l’automobile.
Guai a loro se toccheranno la nostra macchina!...
— Gli attrezzi da fabbro e da falegname non mancavano nel carrozzone. Aprirono una cassetta indicata con un numero, si munirono dell’occorrente, salirono su due sedie ed assalirono la tavola che era stata già levata durante l’assedio dei lupi.
Pochi colpi di martello e di scalpello, uno sforzo, e l’apertura s’offerse dinanzi ai loro occhi.
Walter, che era più magro del canadese, in tre tempi si issò sul tetto della vettura, spingendo a destra ed a sinistra la neve che lo ingombrava.
Il signor di Montcalm si era affrettato a passargli un mauser ed una cartucciera.
— Dunque? — chiese, dopo qualche istante.
— Per tutti i fulmini di Giove!... — esclamò lo studente. — Lasciate che i miei occhi si abituino un po’ all’oscurità.
— Se la pianura è bianca!...
— Ma la capanna di quel briccone di Karalip o Kaparaliko che sia, non riesco a vederla bene. Pare che la neve l’abbia coperta tutta.
— Occupatevi dell’automobile.
— Diavolo!... È sempre dinanzi a noi.
— Nessuno la guarda?
— Non mi pare.
— E dove sono andati quei bricconi?
— Li odo gridare senza vederli. Dopo tutto io credo che abbiano fatto bene a ritirarsi nelle loro tane.
È una vera notte da lupi, signor Gastone, e fa un freddo da spaccare le pietre.