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156 | capitolo xii. |
striscie di lardo che più tardi dovevano venire levate e trasportate, sulle slitte, al villaggio.
— Ecco i viveri assicurati per tutto l’inverno, — disse il canadese a Walter. — Questi uomini fortunati potranno attendere senza timore le grandi nevicate, senza porre la punta dei loro nasi fuori dalle capanne.
— Quanto olio potranno ricavare dalla lingua, signor di Montcalm? — chiese lo studente, il quale si era avvicinato all’enorme bocca entro la quale gli esquimesi lavoravano accanitamente.
— Circa otto barili, ed è il migliore che si ricava dalla balena.
— E dalla massa intera?
— Suppergiù trentamila libbre.
— Una vera inondazione.
— È la parola, Walter.
— Vediamo un po’ questi fanoni, che devono essere i famosi ossi di balena che si pagano ben cari.
— Sono grosse lamine, fisse nella mascella superiore, che scendono diritte formando una specie di siepe, un po’ dentellate ad uno dei margini.
— Vedo, — rispose lo studente — E nessun dente!... È strana!...
— Certi cetacei, quelli chiamati balene maschio, ne posseggono però, ma non se ne servono.
— Mentre i capidogli?...
— Sono formidabilmente armati di denti di forma conica, ognuno dei quali non pesa meno di due chilogrammi.
— Che morsi devono dare!...
— Lo sanno purtroppo le disgraziate balene.
— Perchè sono nemici?
— E terribili nemici; e sono, come potete immaginarvi, sem-