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154 | capitolo xii. |
Tutte le altre slitte si erano pure messe in moto, gareggiando fra un incessante scrosciare di fruste ed un baccano assordante, poichè i guidatori sono costretti a urlare non meno fortemente dei cani per farsi obbedire.
Che quelle bestie, derivate a quanto sembra da un incrocio di lupi e di volpi polari, prestino ai piccoli abitanti delle nevi eterne dei grandi servigi, è innegabile; tuttavia non si creda che siano molto docili ed obbedienti ai loro padroni.
L’istinto selvaggio delle due razze e sopravvissuto e la lunga schiavitù non li ha affatto domati.
Si prestano al tiro delle slitte per paura della frusta, non per fare una cosa gradita ai loro padroni, verso i quali anzi non nutrono nessuna affezione e ci vivono insieme solamente perchè sanno che qualche cosa rimarrà sempre anche per loro dopo il pranzo.
Solo gli esquimesi sanno guidarli. Un europeo non riuscirebbe ad altro che ad andare a gambe levate ad ogni momento, insieme alla slitta.
Correndo rissano continuamente fra di loro, imbrogliando i legami, si mordono, urlano, poi chi si scaglia a destra, chi a sinistra, generando una confusione enorme che solo la terribile frusta, maneggiata dal guidatore con una maestrìa ed un vigore straordinario, riesce a calmare.
Guai poi se sulla loro corsa s’imbattono in una volpe, in una martora od in qualche altro piccolo animale. Allora non c’è più direzione.
Si scagliano dietro alla selvaggina senza più badare alle grida ed alla grandine di frustate, gettandosi all’impazzata dentro i crepacci o dentro i burroni, finchè finiscono per rovesciare il veicolo ed il più delle volte per renderlo anche inservibile.
Sono ben lontani dai nostri cani danesi o di Terranuova,