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140 | capitolo xi. |
— Dentro quel budello che sembra il tubo d’un pozzo nero?
— Non ci tengono gran che alla pulizia, mio caro.
— È tutta una fetente pozzanghera dove guazzano avanzi di pesci e d’intestini di foca e di morsa.
— Non ci fate caso.
— Povere le nostre vesti!
— Ci cambieremo più tardi. Orsù, coraggio e spingete prima innanzi il canestro.
— Il capo, l’angekok e Dik si erano già cacciati dentro quel budello, aiutandosi colle mani e coi piedi ed inzaccherandosi fino al collo.
Lo studente sternutò una mezza dozzina di volte, poi si fece animo e si mise dietro ai talloni di Dik.
Appena dentro, credette di morire asfissiato, tanta era la puzza che usciva da quel corridoio; sentendosi spinto innanzi dal canadese che lo seguiva, sgattaiolò il più presto che gli fu possibile fra le strette pareti, colla speranza di poter giungere subito in un posto meglio arieggiato, e si trovò in una stanza circolare abbastanza vasta, illuminata da un foro aperto in alto e difeso da un pezzo di vescica di cavallo marino che bene o male serviva da vetro.
La speranza di poter trovare un’aria più respirabile, sfumò subito, poichè la puzza che regnava là dentro era ben più acuta di quella che aveva invasa la galleria.
Quello sopratutto che colpì e che prese alla gola, il povero studente, fu un acre odore d’ammoniaca. La catapecchia ne era addirittura appestata in modo spaventevole.
— Per tutti i fulmini di Giove!... — esclamò, rialzandosi a fatica. — Ohè, Dik, c’è qualche fabbrica d’ammoniaca qui dentro? Come fate voi a resistere?
— Vi abituerete anche voi, — rispose l’ex-baleniere, il quale