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130 | capitolo x. |
L’agonia cominciava e la morte si avanzava frettolosamente.
Nemmeno quell’enorme massa l’aveva vinta o fatta indietreggiare.
— Ecco la fine, — disse Dik, appoggiandosi alla carabina ancora fumante. — Guardate gli sfiatatoi. —
Due fitte colonne di vapore rossastro, cariche di sangue, si erano alzate sopra la testa del gigante dei mari.
Annunciavano la morte.
Gli esquimesi, sapendo ormai che la gigantesca preda non poteva più sopravvivere che pochi minuti a quella tempesta di fiocine e di palle, si erano allontanati di tre o quattrocento passi per trovare una zona di mare tranquillo; poi si erano diretti rapidamente verso la costa, sbarcando e portando a terra i loro leggierissimi canotti.
Parevano premurosi d’incontrarsi cogli uomini bianchi che li avevano così validamente aiutati in quella emozionante e non facile impresa.
— Andiamo loro incontro, — disse lo studente. — Sono curioso di vedere da vicino questi abitanti delle nevi e dei ghiacci eterni. —
Il canadese, con un certo sguardo imperioso, lo fermò.
— Rimaniamo presso il nostro treno, — disse poi, — e tenete il serbatoio del vostro mauser pieno.
Non fidiamoci: questi non sono gli esquimesi del settentrione.
Che cosa dite voi, Dik? —
Il meccanico, invece di rispondere, si gettò ad armacollo la grossa carabina, esclamando:
— Karalit!... Che fortunato incontro!... Non mi sarei mai immaginato di trovarlo qui!... —
Gli esquimesi non erano che a pochi passi.