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la baia di hudson 115

dero in mezzo alla neve per non più rialzarsi. Solamente l’ultimo, sfuggito miracolosamente alla sesta fucilata, potè rifugiarsi nella vicina foresta.

— Diavolo d’uomo!... — esclamò il canadese, guardando con ammirazione lo studente. — La Compagnia delle pelliccie della baia d’Hudson avrebbe fatto con voi un buon acquisto.

Voi sparate meglio dei più vecchi trappeurs dell’alto Canadà, mio caro.

— Lo credete? — chiese Walter, ridendo.

— Rimpiango fin d’ora gli orsi bianchi che incontreremo sul nostro cammino.

— Mi pare però, signor di Montcalm, che anche voi non scherziate quando vi appoggiate il fucile alla spalla.

Avete fulminata quella povera bestia con una precisione matematica, come avrebbe detto il mio vecchio maestro di tiro a segno, quell’ottimo John Cardik.

— Ah!... Perchè s’insegna anche a sparare all’Università di Cambridge? Poveri studi!...

— Ma si diventa uomini.

— Eh, lo vedo, — disse il canadese. — Poco pane della scienza ed invece molto sport. —

L’automobile era giunto presso il wapiti. La povera bestia era stata colpita presso l’occhio sinistro e la palla umanitaria — come viene chiamata la pallottola del mauser — gli aveva attraversato il cervello.

— Che cosa ne faremo di tanta carne? — chiese lo studente. — È un cervo splendido. Mai ne ho veduto uno di così grosso.

— Quelli del Canadà superano per statura e peso tutti gli altri, disse il canadese. — Carichiamolo sulla vettura di rimorchio e poi penseremo a farlo a pezzi e gelarlo. I viveri non sono mai troppi per la gente che va al Polo.