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la baia di hudson 113

la foresta gelata, con una velocità di quaranta chilometri all’ora.

Walter ed il canadese, ben avvolti in pesanti pelliccie, avevano ripreso il loro posto dietro il meccanico, tenendo i fucili fra le gambe, sempre in attesa di fare qualche buon colpo onde variare, con qualche buon pezzo di selvaggina, la minuta del pranzo.

L’automobile si comportava magnificamente anche perchè il terreno su cui s’alzava l’immensa foresta, si manteneva costantemente piano.

La neve, tramutata ormai quasi in un banco di ghiaccio, non cedeva sotto il peso del treno. Era bensì vero che qualche volta succedevano degli slittamenti, ma poi la macchina riprendeva il suo slancio con un teuff-teuff sonoro.

Di quando in quando della piccola selvaggina s’alzava fra i cespugli di rose canine e di bacche, semi-sepolte nella neve, e scappava via con velocità fulminea.

Erano per lo più lupatti, volpi e martore. Di tratto in tratto però qualche schiera di grossi cigni, emigranti verso il sud, passavano fischiando, producendo un rumore strano colle loro ali piuttosto deboli per sorreggere dei corpacci pesanti una trentina ed anche più di libbre.

Verso il mezzodì il treno lasciava finalmente la grande foresta e si slanciava attraverso ad una sconfinata pianura tutta bianca e gelata la quale proiettava, verso le nubi gravide di neve, una luce intensissima, acciecante: era l’ice-blink.

Il canadese stava per dar ordine a Dik di arrestare l’automobile per preparare il pranzo, quando degli ululati si fecero udire verso il margine della foresta che avevano appena lasciata.

— Toh!... — esclamò lo studente. — Ancora i lupi!...


8. E. SALGARI ― Una Sfida al Polo.