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112 | capitolo ix. |
ruggiva attraverso la foresta, torcendo perfino i grossi rami dei pini bianchi e rossi.
I lupi in lontananza ululavano sempre, senza però osare accostarsi al treno.
Ne avevano avuto abbastanza di quella cartuccia, dopo le gravi perdite subìte prima.
— Aspettiamo domani, — disse il canadese, quando ebbero terminato di cenare. — Intanto il freddo rassoderà la neve.
— Purchè i lupi non attacchino le pneumatiche, — disse Walter.
— Sono così robuste da sfidare i loro denti. Orsù, cacciamoci sotto le coperte. —
Tutta la notte il vento soffiò con estrema violenza, facendo tremare perfino le grosse vetrate delle piccole finestre, e la neve non cessò dal turbinare.
All’indomani, quando Dik aprì la porta per recarsi all’automobile, trovò uno strato nevoso alto quanto i predellini delle due vetture, ma così solido da reggere benissimo anche una piccola nave.
Un freddo intensissimo ed improvviso, aveva gelato tutto.
— Si può andare? — chiese il canadese, affacciandosi alla porta.
— Rompiamo lo strato che rinserra le ruote e poi vedrete che bella corsa faremo. Io conto di farvi pranzare sulle rive della baia di Hudson.
— Allora non perdiamo tempo. —
Mandarono giù in fretta un paio di tazze di thè ben bollente, si armarono di vanghe e di picconi ed attaccarono poderosamente lo strato gelato, per fare alla macchina un po’ di largo e prendere lo slancio.
Un’ora dopo il treno già filava magnificamente attraverso