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la baia di hudson 109

stesso, poi si slanciò cadendo fra le braccia aperte dello studente.

— Signor di Montcalm, — disse l’allegro giovanotto, — voi meritereste di prendere parte alle gare del Queen’s Club.

Io stesso avrei in voi un serio rivale nel salto.

— Io non appartengo nè all’Università di Cambridge, nè a quella di Oxford, — rispose il canadese. — E poi senza il vostro pronto aiuto sarei andato certamente colle gambe in aria ed avrei finito il mio salto fra le mascelle dei lupi.

Orsù, amico, cerchiamo di aprirci una via attraverso al tetto. In due lavoreremo più rapidamente. —

Sbarazzarono il coperto dalla neve, tagliarono coi loro robustissimi coltelli lo strato di zinco, poi quello di feltro, e misero allo scoperto le tavole.

Seguendo colle punte delle armi le connessure, dopo un quarto d’ora di lavoro accanito riuscivano finalmente a levare due tavoloni, ottenendo uno spazio sufficiente per far passare i loro corpi.

— Finalmente!... — esclamò lo studente che pel primo si era calato nel carrozzone, andando a cadere su una cassa. — Ora i signori lupi avranno da fare con noi.

— Accendete una lampada, — disse il canadese, il quale lo aveva subito seguito.

— E poi la stufa, signore. Io non posseggo la pelle di quell’orso di Dik. È vero che lui è stato baleniere. —

Come al solito, chiacchierava assai ma agiva anche molto. Il lume fu acceso, poi subito dopo la stufa, operazione facilissima che non richiedeva nemmeno mezzo minuto, non trattandosi che di dar fuoco all’essenza minerale, quindi fu sturata una bottiglia di vecchio wisky che in quel momento era più necessaria della stufa, poichè i due viaggiatori erano intirizziti dal freddo.