Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
100 | capitolo viii. |
del suo mauser senza mai mancare il bersaglio. — Ci tengo troppo alla mia casa.
— Ci sono addosso, signore.
— Lasciateli fare.
— Ed aumentano spaventosamente.
— Me ne rido.
— E non potremo più rifugiarci nella carrozza-salon.
— Questo è vero, Walter. Avremmo dovuto farlo prima.
Ora, discendere per passare nella nostra fortezza sarebbe pericoloso per le nostre gambe.
— Ed anche per le nostre teste, credo.
— Non inquietatevi per così poco.
— Fulmini di Giove!... Guardate come diventano audaci. — Un lupo enorme, un lupo nero dal pelo irsuto e fumante per la lunga corsa, si era slanciato sul predellino di sinistra tentando di azzannare le gambe dello studente.
Dik però l’aveva scorto a tempo, e senza abbandonare il volante, aveva afferrata rapidamente una Colt che si trovava sospesa allo scudo, fulminandolo con un paio di palle.
— Grazie, mio bravo chaffeur, — gridò lo studente, il quale si trovava in quel momento col fucile scarico. — Cercherò di rendervi, più tardi, questo favore. —
Un sorrisetto ironico fu la risposta dell’ex-baleniere.
— Signor di Montcalm, che cosa facciamo adunque? — riprese lo studente, dopo d’aver sparato l’una dietro l’altra, cinque o sei rivolverate. — Ci lasceremo rosicchiare i piedi?
— Dik, — disse il canadese, invece di rispondergli. — Arrestate la macchina.
— E poi? — chiese l’ex-baleniere, mentre lo studente spalancava gli occhi.
— Saliamo sulla capote di cuoio e fuciliamo queste noiose canaglie. Lassù non ci prenderanno.