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92 | ultime lettere d’jacopo ortis. |
immortali? fra l’avvilimento delle carceri e de’ supplicj v’innalzerete sovra il potente, e il suo furore contro di voi accrescerà il suo vituperio e la vostra fama.
Milano, 6 febbrajo 1799.
Dirigi le tue lettere a Nizza di Provenza, perch’io domani parto verso Francia; e chi sa? forse assai più lontano: certo che in Francia non mi starò lungamente. Non rammaricarti, o Lorenzo, di ciò; e consola quanto tu puoi la povera madre mia. Tu dirai forse ch’io dovrei fuggire prima me stesso, e che se non v’ha luogo dov’io trovi stanza, sarebbe omai tempo ch’io m’acquetassi. È vero, non trovo stanza; ma qui peggio che altrove. La stagione, la nebbia perpetua, quest’aria morta, certe fisonomie — e poi — forse m’inganno — ma parmi di trovar poco cuore; nè posso incolparli; tutto si acquista; ma la compassione e la generosità, e molto più certa delicatezza di animo nascono sempre con noi, e non le cerca se non chi le sente. Insomma domani. E mi si è fitta in fantasia tale necessità di partire, che queste ore d’indugio mi pajono anni di carcere.
Malaugurato! perchè mai tutti i tuoi sensi si risentono soltanto al dolore, simili a quelle membra scorticate che all’alito più blando dell’aria si ritirano? goditi il mondo com’è, e tu vivrai più riposato e men pazzo. — Ma se a chi mi declama sì fatti sermoni, io dicessi: Quando ti salta addosso la febbre, fa' che il polso ti batta più lento, e sarai sano; non avrebbe egli ragione da credermi farneticante di peggior febbre? Come dunque potrò io dar leggi al mio sangue che fluttua rapidissimo? e quando urta nel cuore io sento che vi si ammassa bollendo, e poi sgorga impetuosamente; e spesso all’improvviso, e talora fra il sonno par che voglia spaccarmisi il petto. — O Ulissi! eccomi ad obbedire alla vostra saviezza, a patti ch’io, quando vi veggo dissimulatori, agghiacciati, incapaci di soccorrere la povertà senza insultarla, e di difendere il debole dalla ingiustizia; quando vi veggo per isfamare le vostre plebee passioncelle prostrati appiè del potente che odiate e che vi disprezza; allora io posso trasfondere in voi una stilla di questa mia fervida bile, che pure armò spesso la mia voce e il mio braccio contro la prepotenza; che non mi lascia mai gli occhi asciutti, nè chiusa la mano alla vista della miseria; e che mi salverà sempre dalla bassezza. Voi vi credete savi, e il mondo vi predica onesti: ma toglietevi la paura? — Non vi affannate dunque; le parti sono pari: Dio vi preservi dalle mie pazzie; ed io lo prego con tutta l’espansione dell’anima perchè mi preservi dalla vostra saviezza. — E s’io scorgo costoro anche quando passano senza vedermi, io corro subitamente a cercare rifugio nel tuo petto, o Lorenzo. Tu rispetti amorosamente le mie passioni, quantunque tu abbia sovente veduto il leone ammansarsi alla sola tua voce. Ma ora! Tu il vedi: ogni consiglio