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ultime lettere d’jacopo ortis. | 81 |
punivano la grandezza di que’ divini intelletti? Oh quanti perseguitati nel nostro secolo saranno venerati da’ posteri! Ma e le persecuzioni a’ vivi, e gli onori a’ morti sono documenti della maligna ambizione che rode l’umano gregge.
Presso a que’ marmi mi parea di rivivere in quegli anni miei fervidi, quand’io, vegliando su gli scritti de’ grandi mortali, mi gittava con la immaginazione fra i plausi delle generazioni future. Ma ora troppo alte cose per me! — e pazze forse. La mia mente è cieca, le membra vacillanti, e il cuore guasto qui — nel profondo.
Ritienti le commendatizie di cui mi scrivi: quelle che mi mandasti io le ho bruciate. Non voglio più oltraggi, nè favori da veruno degli uomini potenti. L’unico mortale ch’io desiderava conoscere era Vittorio Alfieri: ma odo dire ch’ei non accoglie persone nuove; nè io presumo di fargli rompere questo suo proponimento che deriva forse da’ tempi, da’ suoi studj, e più ancora dalle sue passioni e dall’esperienza del mondo. E fosse anche una debolezza; le debolezze di sì fatti mortali vanno rispettate: e chi n’è senza, scagli la prima pietra.
Firenze, 7 settembre.
Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla mia stanza i miei colli. In un bel mattino di settembre saluta in mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordano tutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempo ho riposato dopo le ansietà della vita. Se, passeggiando nelle notti serene, i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia, io ti prego di salire sul monte de’ pini che serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appiè del pendio, passata la macchia de’ tigli che fanno l’aere sempre fresco e odorato, là dove que’ rigagnoli adunano un pelaghetto, troverai il salice solitario, sotto i cui rami piangenti io stava più ore prostrato parlando con le mie speranze. E come tu sarai giunto presso alla vetta, udrai forse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamasse col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompea quando accorgevasi del mio borbottare o del calpestio de’ miei piedi. Il pino dove allora e’ si stava nascosto, fa ombra a’ rottami di una cappelletta ove anticamente si ardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracellò quella notte che lasciò fino ad oggi, e mi lascerà finché avrò vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso;1 e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell’oscurità pietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere in quel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Ed ora? chi sa ov’io lascerò le mie ossa! — Consola tutti i contadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo mi si affollavano attorno, ed io li