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ultime lettere d’jacopo ortis. 79

e piangere le mie sciagure! ma piangere i mali di quella celeste creatura, e piangerli quando io gli ho esacerbati?


Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro — e questo sudore freddo improvviso, e questo arretrarmi — e il lamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama — e quel cadavere — perché io, Lorenzo, non sono forse omicida; ma pur mi veggo insanguinato d’un omicidio.1


Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Da quanto tempo l’aurora mi trova sempre in un sonno da infermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa, io spalancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come se mi vedessi sul capo il manigoldo. Sento nello svegliarmi certi terrori, simili a quegli sciagurati che hanno le mani calde di delitto. — Addio, addio. Parto, e ognor più lontano. Ti scriverò da Bologna dentr’oggi. Ringrazia mia madre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo. S’ella sapesse tutto il mio stato! Ma taci; su le sue piaghe non aprire un’altra piaga.


Bologna, 24 luglio, ore 10.

Vuoi tu versare sul cuore del tuo amico tuo qualche stilla di balsamo? Fa che Teresa ti dia il suo ritratto, e consegnalo a Michele, ch’io ti rimando imponendogli di non ritornare senza tue risposte. Va a’ colli Euganei tu stesso: forse quella disgraziata avrà bisogno di chi la compianga. Leggi alcuni frammenti di lettere che ne’ miei affannosi delirj io tentava di scriverti. Addio. — Vedrai l’Isabellina, baciala mille volte per me. Quando nessuno si ricorderà più di me, fors’ella nominerà qualche volta il suo Jacopo. O mio caro! avvolto in tante miserie, fatto diffidente dagli uomini, con un’anima ardente e che pur vuole amare ed essere riamata, in chi poss’io confidarmi se non in una fanciullina non corrotta ancora dall’esperienza né dall’interesse, e che per una secreta simpatia mi ha tante volte bagnato del suo pianto innocente? S’io un giorno sapessi che non mi nomina più, credo, morrei di dolore.

E tu, dimmi, Lorenzo mio, m’abbandonerai tu? L’amicizia, cara passione della gioventù ed unico conforto dell’infortunio, s’agghiaccia nella prosperità. O gli amici, gli amici! Tu non mi perderai se non quando io scenderò sotterra. Ed io cesso dal querelarmi talvolta delle mie disgrazie, perché senza di esse non sarei degno forse di te, nè avrei un cuore capace di amarti. Ma quando io non vivrò più, e tu avrai ereditato da me il calice delle lagrime — oh! non cercare altro amico fuor di te stesso.

  1. Di questo rimorso d’omicidio che spesso prorompe dal secreto del misero giovine, il lettore vedrà la ragione verso la fine del libro, in una lettera datata 14 marzo.