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ultime lettere d’jacopo ortis. | 77 |
nuto a minuto credo di trovarmi alla porta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suo volto, che m’ama. Fuggo; e con che velocità ogni minuto mi porta ognor più lontano da lei. E intanto? quante care illusioni! ma io l’ho perduta. Non so più obbedire né alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuore sbalordito: mi lascerò trascinare dal braccio prepotente del mio destino. Addio, Lorenzo.
Ferrara, 20 luglio, a sera.
Io traversava il Po, e rimirava le immense sue acque, e più volte io fui per precipitarmi, e profondarmi, e perdermi per sempre. Tutto è un punto! — Ah s’io non avessi una madre cara e sventurata, a cui la mia morte costerebbe amarissime lagrime!
Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia sciagura; berrò fino all’ultima lagrima il pianto che mi fu assegnato dal cielo; e quando le difese saranno vane, disperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quando io avrò coraggio di mirare la morte in faccia, e ragionare pacatamente con lei, ed assaporare l’amaro suo calice, ed espiato le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle — allora....
Ma ora ch’io parlo non è forse tutto perduto? e non mi resta che la sola memoria e la certezza che tutto è perduto. — Hai tu provata mai quella piena di dolore quando ci abbandonano tutte le speranze?
Né un bacio! né addio! — bensì le tue lagrime mi seguiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sorte, il mio cuore, tu — tu! — Insomma tutto congiura, ed io vi obbedirò tutti.
ore....
E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abbandonata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio. Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nome, poichè t’ho fatto vedere io — io primo, io unico, — sull’aurora della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura; e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte nè da tollerare nè da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l’alba e la sera sono tutt’uno. — Ah nè io te lo voglio persuadere! — Eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna consolazione in noi stessi. Omai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co’ miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano o ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch’è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! nè io possodifen-